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Sanità: donne penalizzate rispetto agli uomini?
Non per voler essere pessimisti, ma emerge immediatamente come, rispetto ai loro colleghi maschi, le donne risultino essere ancora più vicine all’area del precariato nonostante un incremento delle assunzioni a tempo pieno o a tempo determinato;può un numero dal segno + far pensare a una battaglia vinta?
Non è certo questo il caso del SSN poiché si evince facilmente dai dati, un impiego delle donne nella sanità ancora limitato alle mansioni inferiori. La componente femminile è infatti caratterizzata da livelli bassi di istruzione (scuola dell’obbligo e licenza) e da un progressivo movimento verso la laurea nel periodo 2001-2009. Una forte crescita della componente femminile è rintracciabile tra i medici che hanno preso servizio negli ultimi 5 anni con una percentuale pari al 48,37.
Ma le decisioni hanno una prospettiva femminile o sono ancora l’espressione di una torre d’avorio popolata di soli maschi, per giunta spesso non proprio giovani? Ebbene, cerchiamo di essere ottimisti.
Dal 2001 sono quasi raddoppiati i direttori generali donna passati da 89 a 163 ovvero il 18,61% del totale. Non troppo bene per quello che abbiamo definito essere un settore fortemente femminilizzato in un paese in cui la maggioranza degli abitanti sono donne, ma che evidentemente fa ancora fatica ad andare incontro alle donne ostacolandone i progresso nella carriera.
Neanche a farlo apposta le donne che si laureano in medicina sono aumentate e così in corsia le dottoresse sono più dei colleghi maschi, il 55% del totale.
Sud Italia: le donne che lavorano nella sanità sono un miraggio
Purtroppo nessuna sorpresa arriva dalla analisi geografica del dato; le donne che lavorano in Sanità sono la maggioranza nelle regioni del nord dove la loro presenza si attesta intorno al 70%, al di sopra del 50% le regioni del centro e la Sardegna, sanità mascolina nelle regioni del sud con segnali deboli ma incoraggianti registrati negli ultimi 9 anni in particolare per la Puglia che ha superato il 50%.
Alla luce di questi dati non sembra più tanto anacronistico parlare di quota rosa; se questa è la situazione nel mondo sanitario che insieme a quello dell’istruzione costituisce la principale roccaforte del lavoro femminile, la questione riacquista immediatamente senso. La nostra classe dirigente ama parlare di meritocrazia e così anche i cittadini si convincono di vivere in un paese che promuove una cultura tanto civile quanto vantaggiosa per il progresso di una società.
Ancora molto da fare per arrivare alla parità?
Leggere i numeri e guardarsi intorno serve a capire che molto vi è ancora da fare. Non stupisce che un mondo del lavoro sempre più precario, schiacci maggiormente le ambizioni e i diritti delle donne (oltre che di tutti i lavoratori).
Accanto alle quote rosa, bisognerebbe creare in questo Paese una reale e propositiva cultura della parità animata dalle stesse protagoniste, donne che dalla piena consapevolezza del proprio valore possono e devono affermare loro stesse. Con buona pace di una politica che le confina in una percentuale ed il tifo dei veri uomini.