Immigrazione nel Mezzogiorno:
Ci vorrebbero decisioni di politica migratoria, economica e sociale coraggiose in quanto una caratteristica storica e quasi universale delle migrazioni è che esse si orientano – nella maggioranza dei casi – verso un insediamento permanente nel paese di arrivo. L’attuale legislazione privilegia, invece, il breve sul lungo periodo; rende difficile e piena di ostacoli la permanenza nel paese; concede la cittadinanza col contagocce dopo un percorso lungo e accidentato.
Eppure, in molte realtà del Mezzogiorno e nelle aree più interne del Paese, dove a causa del calo demografico, dei dissesti idrogeologici e della desertificazione, intere comunità locali stanno scomparendo e preziose risorse agricole sono in stato di abbandono, l’immigrazione e l’agricoltura sono un’opportunità per riattivare economie e innescare processi di sviluppo locale insperati.
Ci vorrebbero, però, misure organiche per insediare gli immigrati nelle aree che si spopolano, affittando ad essi terre pubbliche e private inutilizzate e garantendo microcredito e formazione.
Noi impieghiamo, invece, i lavoratori stranieri spesse volte solo nelle operazioni di raccolta dei prodotti agricoli. In questo modo, se trovano un lavoro più adeguato altrove, essi scappano perché non vedono prospettive di stabilità in un’agricoltura che li utilizza in modo così precario e in condizioni di sfruttamento per opera di un caporalato in mano ad organizzazioni malavitose internazionali.
Il settore agricolo e gli immigrati:
Questa modalità di impiego degli immigrati impoverisce ancor più il settore agricolo perché non permette di investire in capitale umano. Andrebbero, invece, promossi progetti di scambio interculturale, che nelle campagne si potrebbero più facilmente realizzare dal momento che per molti immigrati i luoghi di partenza sono rurali. Se ripopolassimo di immigrati le aree interne, avremmo comunque la disponibilità di manodopera per i lavori stagionali in pianura, ma da parte di persone che si sposterebbero da una condizione di maggiore stabilità per integrare il reddito.
Con l’immigrazione nelle aree rurali si potrebbero mettere in moto le economie locali rimaste marginali a seguito dei processi di globalizzazione, organizzando reti territoriali che, in modo congiunto, guardino ai diversi mercati dei prodotti tipici, dal “km zero” all’export, valorizzino le risorse a fini turistici e promuovano un Welfare di comunità. E’, infatti, la stessa crisi del Welfare ad alimentare ulteriormente lo spopolamento delle aree rurali e delle regioni più povere.
Gli investimenti pubblici in servizi socio-sanitari non solo si stanno riducendo ma seguono una logica di economia di scala e si concentrano nelle aree urbane e nel Centro-Nord. Nel Mezzogiorno e nelle aree rurali è, invece, cresciuta in percentuale la popolazione anziana che richiede più servizi sanitari e cure mediche e si vede costretta a migrare, come i giovani, verso i centri urbani per accedere a servizi di qualità.
Se mettessimo in rete tutte le risorse in modo sistemico e investissimo in giovani nativi e immigrati, si potrebbe rompere il circolo vizioso del Welfare attuale, impiegando i processi agrozootecnici per produrre congiuntamente, in forma imprenditoriale e diffusa, cibo di qualità, accoglienza turistica, servizi sociali e tutela ambientale.