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Disoccupazione giovanile e call center

Una situazione particolarmente preoccupante, che riguarda la disoccupazione giovanile, affligge attualmente il nostro Paese, aggravata dal non trovare il suo dovuto spazio all’interno di un significativo e reale dibattito politico. La categoria dei giovani è una di quelle che più duramente sta accusando la situazione di crisi generale in cui verte l’ Italia.
Secondo i dati Istat relativi ad aprile 2010, infatti, l’attuale tasso di disoccupazione giovanile è pari quasi al 30%, con un aumento di 1,4 punti percentuali rispetto a marzo e di 4,5 punti rispetto ad aprile 2009. Oltre due milioni di giovani sono senza lavoro, cioè 1 ragazzo su 3 e, secondo le previsioni dell’Ocse, nel 2011 la situazione tenderà a rimanere la stessa.
Le giovani generazioni entrano nel mondo del lavoro sempre più tardi e sono costrette, sempre più spesso, ad accettare posizioni e retribuzioni mortificanti, che svalutano i relativi titoli di studio desertificando motivazioni e giuste aspettative riguardanti il futuro.

 

Lavoro: la preparazione universitaria è inutile

Questo aspetto della questione risulterebbe particolarmente significativo se rapportato ai dati Eurostat relativi a maggio 2009, secondo cui l’Italia sarebbe agli ultimi posti per il numero di laureati. Solo 1 ragazzo su 5, tra i 25 e i 34 anni, infatti, termina gli studi universitari: cioè il 19%.
Il punto è che a questo numero già imbarazzante non corrisponde paradossalmente nemmeno un lavoro di livello salariale proporzionato al grado di istruzione posseduta: praticamente la preparazione universitaria, lo confermano anche i dati, non è più una risorsa e porta spesso nel limbo della disoccupazione.
Secondo l’Isfol, infatti, i laureati sarebbero quelli più penalizzati, poiché il contratto di apprendistato (quello che teoricamente offre maggiori garanzie in termini di prospettive future e futuro inserimento lavorativo) è appannaggio quasi esclusivo delle persone con titoli di studio bassi.
Dei 600.000 contratti attivati nel 2007, ad esempio, il 95% non riguardava i laureati: solo 1 Dottore su 10, dice l’Isfol, firma un contratto di apprendistato, con un conseguente rammarico per la mancanza di riconoscimento dei titoli di studio e delle competenze professionali.

 

Anche i call center in crisi:

Tuttavia mentre diminuisce il numero dei contratti e degli occupati, aumenta invece il numero degli stagisti e delle aziende pronte ad ospitarli, come rivela il rapporto Excelsior del 2009. Finito lo stage, però, sempre più di rado le stesse aziende propongono poi vere assunzioni: solo 1 stagista su 10 firma un contratto dopo il periodo di formazione. Lo stage non viene considerato un mezzo finalizzato all’inserimento lavorativo, ma piuttosto uno strumento da utilizzare per sfruttare a basso costo, a volte nullo, il lavoro dei giovani.
La conferma, quasi paradossale, di come sia più che pressante l’emergenza dell’inoccupazione generale del Paese proviene dai call center, fino a ieri àncora di salvezza più vicina a tutti i disoccupati.
Anche questo settore, infatti, è in crisi e a rilevarlo sono le ultime stime della Slc Cgil secondo cui, nel corso del 2010, il settore rischierà di perdere quasi 15-16 mila posti di lavoro su circa 80mila addetti a tempo indeterminato. Solo nel Lazio sono attualmente in corso oltre 260 procedure di licenziamento dai call center e, più o meno, questa è la situazione che si presenta similmente regione per regione, ma con una intensità maggiore nel Centro-Sud.

La politica non è in grado di risolvere il problema:

L’emergenza generale della disoccupazione, e in particolare di quella giovanile, non è valutata seriamente dalla nostra classe politica, che non interviene con la dovuta responsabilità che le competerebbe, e che in passato ha perfino definito i giovani inoccupati dei “bamboccioni” colpevoli di inseguire aspettative troppo irrealistiche per il proprio futuro.
I governi degli altri Paesi europei affrontano questa stessa situazione avvalendosi del confronto tra economisti, media, politici ed esperti di diritto del lavoro, analizzando a fondo il fenomeno e commissionando studi e sondaggi ad hoc per poi intervenire in maniera mirata. In Italia questo non avviene.
I nostri ministri Gelmini e Sacconi, alla guida rispettivamente dei dicasteri di Istruzione e del Lavoro, sostengono che “il problema non si risolve a colpi di decreti e leggi”; vale a dire esattamente gli strumenti indispensabili per avviare una concreta riforma del mercato lavorativo ed evitare un declino generale del Paese già visibilmente in corso.

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Nata a Roma nel 1984. Laureata in Lettere. Blogger e collaboratrice giornalistica

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