Cosa vuol dire caregiver familiari:
Li chiamano così, caregiver familiari, utilizzando il termine anglosassone che sta a indicare ‘colui che si prende cura’ di qualcuno. Nello specifico, un familiare malato o disabile.
Chi è il caregiver familiare? Di cosa si occupa nello specifico? Il caregiver familiare è una persona che, nel concreto, rinuncia alla propria vita o comunque a buona parte di questa, per stare vicino al proprio caro ed assisterlo nella malattia. Ecco che allora si renderebbe necessaria una forma di supporto anche per loro.
La campagna #maipiùsoli nasce proprio per denunciare come, in Italia, queste persone chiamate caregiver familiari siano abbandonate a loro stessi e alle loro problematiche senza un seppur minimo riconoscimento di quello che, vuoi o non vuoi, alla fine diventa un lavoro a tutti gli effetti.
Nel nostro paese un gruppo di rappresentanti di famiglie con disabili è attivo da tempo per portare avanti la causa dei caregiver familiari; in passato hanno promosso diverse battaglie al riguardo.
La battaglia per riconoscere il ruolo dei caregiver familiari
Questo gruppo di cittadini si riunisce intorno alla sigla Coordinamento Nazionale Famiglie di Disabili Gravi e Gravissimi (questa è la loro pagina Facebook) e da anni chiede che venga riconosciuta questa figura.
Nell’ ambito di questa campagna è stato realizzato un video su Youtube in collaborazione con i giornalisti di Rec Press e spiega cosa vuol dire vivere con un disabile grave in casa e dedicare a lui tutta la propria vita.
Da segnalare che l’Italia è l’unico Stato europeo che ancora non riconosce il ruolo dei caregiver familiari: al riguardo il Comitato ha promosso una raccolta firme ed una petizione al Parlamento Europeo per vedersi riconoscere questo diritto.
Una questione più che mai di civiltà perchè, come viene riportato nel video dalla testimonianza di una donna che assiste il proprio figlio disabile dalla mattina alla sera, “Lo Stato italiano ci impone di rinunciare ai nostri diritti umani: il diritto al riposo, alla salute, a una vita di relazione. Io e mio figlio viviamo praticamente agli arresti domiciliari, e abbiamo commesso il reato di voler vivere insieme, non essere separati a causa della sua disabilità.”