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Il calcio in mano ad allibratori e scommettitori:
Perché mai infierire su una squadra, i cui dirigenti, tifosi, calciatori, un giorno potrebbero essere i tuoi? Se la tua squadra non ha più niente da chiedere al campionato, che senso può avere giocare alla morte contro un avversario che vincendo contro di te raggiungerebbe il paradiso e che invece perdendo diventerebbe un futuro nemico?
La stagione seguente ci si potrebbe trovare nella stessa situazione, a parti invertite, per cui inutile creare pericolosi precedenti. Certo, lo spirito sportivo suggerirebbe soluzioni diverse. Ma la vita, si sa, non è solo teoria, quanto piuttosto concreta realtà, a volte anche un po’ squallida, forse, ma tant’è.
Tuttavia, appare inaccettabile pensare che da una simile prassi consolidata possa svilupparsi un sottobosco clandestino di biscazzieri e allibratori, pronti a vendere sé stessi e la propria squadra per qualche decina di migliaia di euro. Perché è di questo che si tratta. Di “briciole”. Il più delle volte neanche riscosse, per il cattivo esito della giocata.
Nelle carte giudiziarie sin qui venute alla luce, risulta chiaro come alcuni dei giocatori coinvolti si sarebbero perfino rovinati, millantando credito tra colleghi più blasonati e all’oscuro di tutto, e garantendo in prima persona i risultati di partite da “aggiustare”. Peccato, però, che il più delle volte queste partite terminavano in maniera diversa da quanto promesso.
I calciatori al centro dello scandalo:
Al centro dello scandalo ci sarebbe un signor Rossi qualunque del calcio italiano: Marco Paoloni, un passato remoto da promessa del calcio ed un passato prossimo da “onesto” comprimario che a 26 anni ha già raggiunto il massimo di quanto il calcio potrà mai dargli: 10 mila euro mensili (stando a quanto si legge). Cifre lontane anni luce da quelle imbarazzanti dei campioni del Barcellona, ma pur sempre allettanti e senza dubbio sufficienti a vivere un’esistenza di tutto rispetto a Benevento o a Cremona (non si parla né di Tokyo né di New York…).
Eppure, da quanto emerso, questo ragazzo – perché di un giovane ragazzo si tratta, anche se da 10 mila euro al mese – sarebbe pieno di debiti, frutto – neanche a dirlo – del demone del gioco, talmente dominante sulla sua personalità da portarlo perfino, secondo quanto emerso, ad avvelenare i propri compagni di squadra per alterarne le prestazioni sul campo.
Accanto a personaggi del calibro di Paoloni vi sarebbero dentisti, titolari di ricevitorie di scommesse, calciatori celebri, in attività o in “pensione”. Sarebbe coinvolto anche Beppe Signori, che poco meno di vent’anni fa scommetteva di mangiare in trenta passi una nota merendina e che adesso si sarebbe evoluto fino a diventare il vertice della colonna bolognese degli scommettitori. Seppur convinto della propria estraneità ai fatti, Signori ha ammesso di aver compiuto alcuni sbagli, così come hanno fatto altri protagonisti della vicenda, tutti pronti a dichiarare di giocare spesso e volentieri d’azzardo per “dare un senso ad una vita piatta”.
Organizzazioni criminali dietro ai calciatori:
Ammesso e non concesso che il crepuscolo del calciatore sia un passaggio difficile e malinconico della propria esistenza, in cui si rinuncia improvvisamente a fama, notorietà, titoli di giornale, risulta difficile credere che un’organizzazione costituita per falsare risultati sportivi possa trovare ragione d’esistere nella “difficoltà di condurre una vita piatta”. Si è parlato di veri e propri criminali che agirebbero alle spalle dei calciatori coinvolti, puntando cifre astronomiche e minacciando di morte i suggeritori di cattivi pronostici.
Bisognerebbe pertanto capire se davvero il demone del gioco possa avere spinto a commettere reati calciatori che hanno guadagnato miliardi nel corso di brillanti carriere, o se piuttosto vi sia stata un’eccessiva pressione da parte di criminali abili a intravedere le debolezze di quei calciatori e delle loro vite piatte, e ad approfittarne in grande stile.
Certo è che il sensazionalismo dei giornali lascia davvero perplessi, così come il lasciare intendere che sarebbe soluzione buona e giusta quella di penalizzare le società sportive per il comportamento illecito di loro tesserati (profumatamente pagati). Società che, peraltro, non ricavano alcun vantaggio dalle puntate illecite fatte in proprio danno dai calciatori.
La corruzione è presente in ogni ambito lavorativo:
Ricordando infatti come in qualsiasi ambiente lavorativo – in particolare quelli dove gravitano fior di milioni – la corruzione fa parte del sistema e, per quanto deprecabile, non è per sua natura un qualcosa di sradicabile, non si può pensare di comminare sanzioni devastanti dal punto di vista economico a società calcistiche se uno dei loro tesserati si è macchiato di un reato.
E questo principio deve valere sia nel caso in cui la vera molla che ha spinto i calciatori ad agire contro la legge sia stato il demone del gioco, associato all’idea di facili guadagni, sia nel caso in cui venissero acclarate le indebite interferenze da parte di bande criminali organizzate. In caso contrario, si finirebbe con il falsare ancora più profondamente ciò che è già stato contaminato da soggetti sprovveduti ed incoscienti meritevoli di pagare in prima persona per le loro colpe.