Amministrative 2013: quanti astenuti
Questa volta, analizzando i dati emersi dalle urne delle elezioni amministrative, nessuno può far festa: troppi gli astenuti e, al di là delle percentuali,sono in pesantissimo calo anche i voti ricevuto da ciascun partito. Dunque non ha vinto nessuno. O meglio hanno perso tutti. Fatto che suona strano, ma così è.
D’altra parte di queste bizzarrie della logica gli italiani hanno già avuto, nella storia repubblicana, fulgidi esempi: dall’ andreottiano governo della non-fiducia corredato dalla battuta di Giancarlo Pajetta «E’ qualcosa che non gli diamo, ma che, comunque gli basta» fino all’ ultima bersaniana: «Siamo arrivati primi, ma non abbiamo vinto.»
E poi si dice che gli altri in Europa non capiscono le logiche della italica politica. Si provi a spiegare queste frasi a un tedesco o a un francese o a un inglese. Al confronto i famosi sorrisini di Merkel e Sarkozy sembreranno attestazioni di stima.
Se poi si pensa che da questa imbarazzante situazione ne esce, come hanno scritto alcuni analisti di peso, che il governo dopo la prima tornata elettorale è rafforzato si ottiene l’apoteosi del non-sense. Chissà come sarebbe forte se a votare la volta prossima non ci andasse nessuno.
Paradosso tra i paradossi il partito più in affanno e meno partito che attualmente sfarfalleggi sul palcoscenico politico, il Pd, piazza al primo turno 4 sindaci in altrettanti capoluoghi di provincia e, come non bastasse, percentualmente è la prima forza politica in quasi tutti gli altri. Fanno eccezione Iglesias, Imperia (ma il fatto deve essere avvenuto all’insaputa di Scajola, ras locale del Pdl) e Isernia. Peraltro in queste tre città il candidato sindaco del centrosinistra è in forte vantaggio su quelli del centrodestra.
Pdl e altri partiti:
Sembra quasi che gli elettori in questione siano andati a votare tenendo in una mano la scheda mentre nell’altra reggevano un negroni doppio. Ma non c’è regola senza eccezioni. By the way quando il candidato del Pd vince si dice che l’abbia fatto nonostante e a dispetto del suo partito. Debora Serracchiani ieri e Ignazio Marino oggi, docent. Che se prima era di sinistra perdere, vincere dicendo di essere di sinistra sotto che categoria socio-politica va catalogato?
Al contrario il Pdl di Berlusconi, che sembra essere l’azionista forte del governo e ha stabilito che il primo ministro dovesse essere ‘Richetto’ Letta e non Matteo Renzi, è ridotto ad uno straccio. Degli altri partitini, Lega Nord inclusa, non vale la pena di parlare. Sarebbe un pianto greco. E allora? Ovvio che così non può finire, altrimenti di che si parla nei talk-how? Uno sconfitto più sconfitto lo si deve trovare a forza, altrimenti come ci si diverte. E quindi?
Il Movimento 5 Stelle sembra fare al caso giusto. Di sciocchezze Grillo ne ha commesse a bizzeffe e si merita ampiamente la batosta subita. Dopo di che mettersi a discutere delle sciagure altrui quando a guardare in casa propria ce n’è d’avanzo è un’altra delle estrosità a cui lo stivale è abituato. Dopo di che Grillo si difende dicendo che lui è il meglio e l’Italia peggiore ha votato gli altri che, come argomento difensivo non è certo una gran novità. Lo va dicendo da anni. Ma se prima lo faceva stando in attacco adesso invece lo usa come argomento di difesa. Non è una grande idea e neppure originale. Però va di moda.
In politica, come in chimica vale la legge di Lavoisier: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Che se ci si fermasse lì sarebbe triste ma tutto sommato coraggioso. Invece l’italica natura vuole che vi vada oltre e allora ecco ripetersi la storia del bue che dice all’asino cornuto. Tanto per cambiare. E per chi si accontenta.