Tanti slogan, poca politica:
Tante belle storie vecchie trite e ritrite. Slogan come se piovesse. Politica poca se non nulla. Il massimo che si capisce è che “gli altri sono peggio di me” che, con tutta la buona volontà, non è un bel scegliere. Perché l’alternativa, quella vera, non è dove e quanto comodi si singhiozza ma tra piangere e ridere.
E alla più parte dei bipedi pensanti piace star sereni ancor prima di ogni altra situazione. Banale forse. Sensato certo. Fatti di quelli che interessano la gente cosiddetta normale, che da vicino se ne vede poca, del tipo: come arrivare alla fine del mese, della scuola dei figli, della garanzia di diritti per le compagne e i compagni di una vita (che se non sei giornalista o parlamentare te li sogni), della semplice certezza che i tombini son tombini e che i torrenti non esondino, le colline non smottino e le case non crollino, o che i funzionari dello Stato – che era bello sentirli definirsi servitori – ridano un po’ di meno e sappiano far di conto un po’ di più.
E magari con quel tanto di relativismo – Benedetto XVI e i suoi porporati ciacolatori scuseranno – che rasenti l’equità perché la fola della legalità che è diversa dalla giustizia è per l’appunto solo una fola. E il diritto va perseguito anche se a cascare sono i cosiddetti migliori. Che se migliori fossero per davvero rispetterebbero il ruolo affidato e non ne trarrebbero personale profitto e neppure ricerca di impunità.
Quindi, per dirla come va detta, ora non c’è maggior aspettativa di vita ma solo vecchiezza più lunga e quindi bisogni direttamente proporzionali alla debolezza che va crescendo. Ciò non vuol dire più case di riposo (pure private e appaltate dal pubblico) ma più servizi alla persona, magari in casa propria.
E ancora: ritornasse quel senso del decoro che De Sica fece scorrere sulla pellicola di Umberto D. E ci sarebbe ancor da dire di guerre e di donne che muoiono e di carceri che son piene anche per fatti da nulla. E di buon senso che latita. E la lista sta lì ad allungarsi.
Dei problemi reali non si parla:
Ecco di tutto questo, di cui sarebbe normale parlare, non si è detto. Ci si balocca sul chi piuttosto che sul che cosa e sul come. L’enorme quota tempo dedicata alla disquisizione su ossimori: può un “impresentabile” essere presentato? può il laico stare col clerico fascista? può esserci regola se poi c’è deroga? sta a dire di quanto di kafkiano è intrisa la situazione.
Si profetizzava che “una risata vi distruggerà” ma dovrebbe essere sana e cristallina e non saper d’amaro. Che altrimenti non è ridere ma ghignare. E il ghigno di solito non risolve. Michail Bakunin che di idee ne sfornava a getto e pure un po’ confuse ebbe a scrivere che “I cattivi finiscono in un modo infelice, i buoni in modo sfortunato: questo è quel che significa la tragedia”.
Magari piacerebbe assistere a qualcosa di più piano ma per farlo ci si deve scomodare in prima persona. Si vedrà se nella seconda parte della corsa elettorale le parole incontreranno il senso.