Berlusconi non vuole i servizi sociali:
«Se è andata bene a Sallusti perché non anche a me» deve aver pensato il Berlusconi e calatosi nelle vesti, che oggettivamente gli van larghe, di Rodomonte s’è messo anche lui a gridare, prima del verdetto «Se avranno il coraggio di condannarmi andrò in carcere io non voglio essere rieducato dai servizi sociali come fossi un delinquente». Sfuggendogli il concetto che chi vien condannato delinquente lo è per definizione e comunque perché la legge ritiene che in passato delinquette.
Quando poi la condanna da fatto in potenza diviene realtà e ecco allora pronta e immediata la smentita che ha l’aria di esser metaforica ma metaforica non è.. Non si parla più di carcere adesso dimenticando che «al rigore delle leggi penali soggiacer dee chi ha delinquito con piena volontà, con freddo proposito.» E questo parrebbe il caso. Ora si divaga.
Comincia lo stesso Berlusconi con un piagnucoloso discorso in cui si autodefinisce senza tanti giri di parole come «l’Italia migliore», poi afferma perentorio che comunque c’è una figlia che prenderà il suo posto in questo smentito dalla stessa e da una bella fetta dei maggiorenti del suo partito. Quindi architetta la minaccia dei suoi ministri, Alfano che è vice premier in testa (che vergogna), di rassegnare nelle sue mani le dimissioni.
Non contento, poiché i ministri sono pochi pensa che si debbano dimettere anche i deputati. Che qualcuno faccia la mossa è ovvio ma poi chissà se questi ne hanno davvero la voglia. Meglio non rischiare.
La grazia richiesta a Napolitano:
Quindi manda due giganti della politica come Schifani e Brunetta dal Capo dello Stato a chieder la grazia conto terzi che è cosa che proprio non si fa. Infine al solito si organizza il tradizionale pediluvio di popolo con bandiere e truppe cammellate per, nell’ordine: dichiararsi innocente, attaccare la magistratura ma non tutta, solo quella che lo condanna, dire che resterà fino alla fine, chissà se ci saranno anche le Termopili di Forza Italia 2.0 e alla fine si fa ben fotografare mentre frigna come un bimbo caduto dal monopattino. Peccato che il monopattino su cui ha corso fino ad ora sia l’Italia.
Ma è tutta una finta. Ancora una volta Berlusconi Silvio mette in scena da protagonista la sua commedia preferita quella che va sotto il titolo di «Chiagne e fotte.» Rappresentazione che va in onda senza soluzione di continuità da oltre vent’anni. Pur con un paio di varianti che suonano: «Fotte e chiagne» e nella versione «Chiagni e fotti, fotti e chiagni.» Non è che la fantasia abbia ampi margini di manovra su questo tema.
La speranza è che la Storia voglia occuparsi di questi anni in un futuro lontanissimo quando oramai se ne sarà persa la memoria, e soprattutto che non voglia, così come talvolta ha fatto, caratterizzare il periodo affibbiandogli una definizione identificativa come fece con il secolo dei lumi o il secolo delle rivoluzioni, o la Belle Époque speriamo sia generosa e non troppo severa. Poiché a guardare il periodo i calambour e gli sfottò vengono più che spontanei. E si avrebbe gioco facile. Anzi facilissimo.
Che a pensare d’essere vissuti nell’epoca delle prescrizioni o delle grazie non richieste o al tempo delle/dei nipoti proprio non piace a nessuno. Forse. Che qualche masochista lo si incontra sempre per strada. E, soprattutto, ci si augura che la Signora Storia non voglia dar dignità d’epoca al periodo del chiagne e fotte che a ben vedere maggioranza nel Paese non è mai stata. E ha governato solo per una legge elettorale porca.