Vi prego di considerare l’idea…noi disabili motori abbiamo davvero bisogno di avere un telefono cellulare con noi. Facciamo conoscere il problema. Più lettere riceveranno e più rifletteranno su quanti siamo e quanti clienti potremmo portare o meno.
Il dirigente mi ha invitato a scrivere una lettera accompagnata ad una proposta dettagliata, da inviare alla Vodafone.La mia proposta è quella di una tariffa agevolata, molto bassa, creata proprio per migliorare l’autonomia dei disabili motori. Una tariffa “Autonomy” che consenta una più ampia “libertà” di chiamare un costo più basso.
Il gestore per concedere la tariffa potrebbe:
– Creare un modulo apposito da far riempire al disabile (motorio) in cui richiede i dati della persona, il codice fiscale, il numero (intestato al disabile stesso) sul quale egli
invia e riceve chiamate.
– Richiedere l’invalidità 100% e la 104 attestante l’invalidità motoria.
– Richiedere un atto notorio dal disabile stesso attestante l’uso proprio della scheda, quindi del numero, sul quale si applicherà la tariffa agevolata.
– Richiedere un documento di identità.
Non sono poi così impossibili tali agevolazioni, molti gestori offrono agevolazioni tariffarie a diverse categorie ad esempio la Tim offre una scheda telefonica ai Carabinieri, Esercito, Aereonautica ecc….con tariffa di 1 centesimo al minuto.
Ritengo che la categoria dei disabili motori debba ricevere un pò di attenzione considerando (insisto) la difficoltà di spostamento. Abbiamo una grande necessità di essere in contatto con il mondo, spesso per ragioni lavorative, spesso per necessità di salute, spesso per il tempo libero si trova costretto a fare molte chiamate, a volte di lunga durata, chiamate che incidono sul reddito (260 euro al mese di pensione 450 euro di accompagnamento) e sulla nostra qualità della vita.
Il gestore potrebbe così “vantarsi” di sostenere una categoria “svantaggiata” ed avere un ritorno economico, chiaramente, dai disabili stessi che soddisfatti della tariffa in automatico pubblicizzeranno ai familiari e amici la “buona pratica” ricevuta.
Lorella Ronconi