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Nuove norme per la violenza di genere
Ma le nuove norme appena introdotte rappresentano davvero una risposta forte del Governo per combattere la piaga sociale della violenza di genere? Sul fronte dell’associazionismo, a quanto pare, permangono molti dubbi.
La rete dei telefoni rosa ha messo in evidenza la necessità di proteggere le vittime immediatamente, vale a dire non appena depositata la denuncia. “La vittima -spiega la Presidente di Telefono Rosa- è indifesa dal momento che il suo aguzzino viene denunciato e nei tre giorni in cui inizia l’indagine non ha alcuna forma di protezione” (leggi anche: Il lavoro di uno psicologo sulle donne vittime di violenza).
A destare forte preoccupazione è anche l’aspetto relativo all’inasprimento delle pene “senza la certezza -prosegue la Presidente- che il soggetto violento inizi un percorso che lo porti verso la consapevolezza del reato commesso”.
Le indicazioni non ascoltate dei centri antiviolenza
Osservazioni importanti esternate da subito da Telefono Rosa, che aveva richiesto modifiche al disegno di legge con una nota depositata e illustrata in sede di audizione, insieme alla certezza della pena. Osservazioni cadute nel vuoto.
Vien da sé, quindi, una considerazione di fondo: per quale motivo il Governo continua a non prestare ascolto a quelle realtà che ogni giorno, sul territorio, sono a stretto contatto con le vittime e conoscono il fenomeno da vicino? Perché continuano a essere ignorate le osservazioni di associazioni attive in prima linea e dei centri antiviolenza?
“Amministrare senza ascoltare –conclude la Presidente di Telefono Rosa– significa portare avanti spesso dei provvedimenti che non riflettono le vere necessità della società, nonché perpetrare un atteggiamento di chiusura inconcepibile e controproducente nella cura della piaga sociale della violenza di genere”.
I fondi per i centri antiviolenza
Una mancanza di dialogo denunciata a gran voce anche dalla storica associazione Di.re, donne in rete contro la violenza. “Il nuovo piano operativo -denuncia l’ente- non tiene conto di chi lavora sul campo, a cominciare dai centri antiviolenza, al contrario di quanto il governo cerca di accreditare”.
“I fondi per i centri antiviolenza e le case rifugio -denuncia ancora l’associazione- arriveranno, quando e se arriveranno, attraverso le regioni con criteri che, come più volte verificato, possono essere molto variabili tra una regione e l’altra o addirittura escludenti per i centri di provata esperienza come nel caso della Lombardia, che condiziona l’erogazione dei fondi alla comunicazione di dati sensibili, a cominciare dal codice fiscale delle donne accolte”.
Dubbi oggettivamente legittimi. “Il Fondo per le donne vittime di violenza – conclude Di.re- definito dalla minista Bongiono ‘Fondo anti ostaggio’ ci conferma l’idea di un governo che, oltre a non prestare ascolto a chi lavora sul campo da decenni, opera con una logica assistenziale”.
Femminicidio e violenza di genere
Femminicidio e violenza di genere rappresentano una vera e propria emergenza in Italia. Le misure istituzionali adottate fino ad oggi per combattere il fenomeno si sono rivelate puntualmente insufficienti.
Dalle pagine di questo giornale in passato abbiamo documentato ampiamente le difficoltà dei centri antiviolenza (aiuto imprescindibile per le donne vittime di abusi) per mancanza di fondi da parte dello Stato. Difficoltà che in alcuni casi hanno portato alla chiusura dei centri stessi.
Non riconoscendo la necessità di progettare percorsi individuali per le donne vittime di abusi, il Governo dimostra ancora una volta improvvisazione e poca conoscenza del fenomeno, tagliando ogni dialogo con le associazioni: le uniche che conoscono davvero i reali bisogni delle donne vittime di violenza.