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Il conflitto di interessi nel nostro Paese
In Italia l’annoso problema del conflitto di interessi ha raggiunto il culmine della sua esposizione mediatica e culturale con la discesa in politica del magnate delle telecomunicazioni milanese Silvio Berlusconi, candidatosi a Presidente del Consiglio dei Ministri nelle elezioni politiche del 1994.
Scendendo maggiormente nel particolare, il presunto conflitto di interessi riguardante il Cavaliere avrebbe interessato gli ambiti nei quali quest’ultimo possedeva interessi di tipo economico: sportivo (con la presidenza della squadra di calcio del Milan, che proprio di recente ha venduto al gruppo cinese), editoriale (proprietà della casa editrice Mondadori), edile ecc..
Settori economici che, a parere di alcuni costituzionalisti, entravano in conflitto e stridevano fortemente con la volontà dell’imprenditore di candidarsi ad una carica dello Stato e quindi di essere eletto.
Stessa cosa, parlando di conflitto di interesse, potrebbe dirsi, per restare alla strettissima attualità, di Maria Elena Boschi a seguito del caso fatto emergere dal libro di De Bortoli; ovviamente se quanto raccontato nel libro fosse vero.
Legge n.215 del 20 luglio 2004
Una legge varata a tal proposito fu quella ideata dall’allora ministro della Repubblica Franco Frattini. Secondo questa legge, che inizia a delineare in maniera nitida il concetto di conflitto di interesse, chiunque ricopra una carica pubblica e governativa non può assumere cariche di tipo imprenditoriale (direttore generale, amministratore delegato). In questo modo decade inoltre il diritto di voto concernente quest’ultimo all’interno del consiglio di amministrazione dell’azienda stessa.
A sostituzione della precedente legge varata nel 2004, in data 25 febbraio 2016 la Camera dei deputati approva un nuovo strumento che regolamenta il tema in materia di conflitto di interessi, congelato successivamente in commissione Affari Costituzionali in Senato.
Secondo questa legge, si ha conflitto di interessi nel caso in cui chi assume una carica di tipo governativo possegga in contemporanea interessi di tipo economico privato, in una compresenza tale da “alterare le regole di mercato relative alla libera concorrenza“.
Una legge rivolta quindi a chi possiede cariche politiche: ministri, vicepresidenti, componenti delle Authority (ANAC, Antitrust, energia elettrica, Consob, Garante della Privacy ecc…), consiglieri regionali e provinciali, membri del parlamento, vertici della Banca d’Italia.
Il concetto di ‘blind trust’
Cuore pulsante di questa legge è il concetto di “blind trust”, messo a punto con l’obiettivo di separare il patrimonio del soggetto dal soggetto stesso.
Mediante una procedura di affidamento di tipo fiduciario, il possessore di tale patrimonio affida quest’ultimo ad un consiglio direttivo che ha il compito di gestirlo in sua vece, avendo tuttavia la più completa autonomia riguardo alle modalità di investimento. Il tutto fino alla cessazione della carica assunta dal soggetto titolare.
Nel caso in cui lo strumento del blind trust non risulti sufficiente ed adeguato a superare la situazione di conflitto di interessi, le autorità competenti in materia hanno la facoltà di imporre al possessore la vendita del patrimonio. In caso contrario, il soggetto titolare del patrimonio stesso dovrà rassegnare le proprie dimissioni dalla carica che ricopre.
Obbligo di dichiarare il possibile conflitto di interessi
La legge qui citata prevede inoltre l’obbligo da parte del soggetto interessato di dichiarare entro venti giorni dalla sua elezione l’oggetto del possibile conflitto di interessi. In caso di mancata comunicazione, scattano sanzioni amministrative che vanno da 5.000 a 50.000 euro.
Diventano inoltre ineleggibili tutti coloro che siano titolari di imprese che a loro volta producano beni o servizi per enti statali. L’organo delegato al controllo di tale materia è l’Antitrust, composto da tre deputati e due senatori, quindi cinque membri del Parlamento al posto dei tre previsti in precedenza.