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Quanto ha influito l’astensionismo:
A rendere più netto l’insuccesso dell’opposizione è la crescita abnorme dell’astensionismo. Il “non voto per scelta” si aggira intorno al 30 %. A differenza di quanto avviene in altri Paesi occidentali dove ci si astiene per mero disinteresse, emerge per la prima volta in Italia una disaffezione lucidamente coltivata, una risposta calcolata a una deriva che si ritiene evidentemente insopportabile.
Si tratta di uno scollamento ormai drammatico non solo fra la politica, per come viene percepita, e i bisogni, le domande e le aspirazioni di tante persone in carne ed ossa, ma complessivamente tra le istituzioni e la società. Come ha rilevato Aldo Schiavone, il non voto appare come l’esigenza avvertita in modo impellente di sottrarsi a un gioco cui non si vuole più prestare fiducia, né dare legittimazione. “Se proprio lo dovete fare, ebbene fatelo non in mio nome” hanno concluso tanti elettori prima di decidere di non votare.
A produrre un distacco di così larghe dimensioni sarà stato anche il fatto che, a quarant’anni dalla loro istituzione, le Regioni non sono mai decollate. Nessuna forza politica è disposta ad ammettere che questi enti si sono rivelati una gigantesca, costosissima delusione. Eppure l’opinione pubblica ne è sempre più convinta e reagisce prendendo le distanze da una classe politica che considera responsabile di tale fallimento.
Di questo bisogna tener conto quando si discute di federalismo perché esso va necessariamente accompagnato da una riforma profonda della pubblica amministrazione centrale e regionale. La quale, nelle forme del tutto inefficienti e obsolete in cui oggi si presenta, è percepita dai cittadini come un gravame insopportabile e odioso.
Il centrodestra tiene e l’opposizione non è credibile:
Se il centrodestra tiene e l’opposizione non è in grado di offrire un’alternativa credibile a tanti elettori disincantati e delusi dalla politica e dalle istituzioni è perché il centrosinistra non riesce a fare una diagnosi condivisa della società italiana da cui far scaturire una proposta politica convincente.
La principale forza di opposizione, il Pd, è in effetti la somma di due pezzi sbiaditi di Prima Repubblica: un po’ di ex-comunisti convertiti a modo proprio alla socialdemocrazia e uno spicchio di sinistra democristiana. Si tratta di culture che hanno un passato glorioso ma che non sono in grado di intercettare i bisogni di una società profondamente cambiata.
Chi proviene da siffatte culture e vuole mantenersi fedele ai propri valori di fondo non ha strumenti culturali per comprendere perché un personaggio come Berlusconi possa incontrare – ormai da tanti anni – un favore così straordinario presso gli elettori e perché questi gli condonino con tanta facilità i suoi conflitti di interesse, la prevalente attenzione per i propri affari, le tensioni con la magistratura, lo scarso rispetto dei delicati bilanciamenti di uno stato di diritto.
Eredi dei democristiani e dei comunisti:
Arretra smarrito dinanzi a questi dati di fatto e non vuole ammettere di non saper leggere il nuovo paesaggio sociale. Per gli eredi dei comunisti e dei democristiani di sinistra, che vogliono rimanere ancorati ai valori di fraternità e reciprocità, ancor più ostica appare la Lega di Bossi. La quale ha introdotto nel dibattito pubblico una cultura anti-nazionale e pulsioni xenofobe che in altri Paesi europei sono sì egualmente forti, ma stanno ai margini delle forze di governo. Eppure da noi la Lega dirige dicasteri importanti, presiede due Regioni di notevoli dimensioni e amministra centinaia e centinaia di Comuni.
Le responsabilità per tali carenze sono diffuse al centro e in periferia. Non riguardano solo Bersani oggi o Veltroni e Franceschini ieri. Nessuna componente del Pd possiede una cultura politica in grado di interpretare convinzioni diffuse e nuovi bisogni degli individui e di interagire in qualche modo con il fenomeno Berlusconi e con quello della Lega.
Per rilanciare il progetto del Pd, prima di vederlo miseramente fallire, occorre rimescolare le forze e coinvolgere nuove energie culturali e ideali rimaste sull’uscio perché gli apparati, indipendentemente dalla corrente di appartenenza, si sono finora rivelati indisponibili a condividere i propri spazi di operatività.
Come rilanciare il progetto PD:
Bisognerebbe costruire un vero e proprio “movimento” di iscritti e di elettori per ottenere finalmente l’apertura di porte e finestre che precludono al Pd rapporti fecondi con settori vitali della società.
La sua azione politica andrebbe accompagnata da inchieste sociali nei diversi territori per conoscere a fondo la realtà, le trasformazioni avvenute nel modo di pensare delle persone. Una cultura politica nuova può crescere nel centrosinistra se si nutre di saperi scientifici e contestuali, di ricerca sociale multidisciplinare, se quest’ultima diventa una componente fondamentale dell’agire politico e se i gruppi dirigenti si mettono in sintonia con le pulsioni più profonde della società.
Nei partiti del centrosinistra ed in tutte le loro componenti, imperversa una spaventosa pigrizia culturale che li rende ciechi e sordi dinanzi ai cambiamenti sociali. Eppure vi sono molte persone capaci e circolano idee innovative su diversi temi: il federalismo, la riforma fiscale, l’integrazione degli immigrati, la legislazione del lavoro, la pubblica amministrazione, l’istruzione, l’agricoltura, l’economia civile, il welfare, il Mezzogiorno.
Riforme efficaci ma impopolari:
Ma quando i singoli dossier diventano azione riformatrice incontrano seri limiti nelle resistenze corporative di coloro – persone e organizzazioni – che vivono prevalentemente di risorse pubbliche e che costituiscono l’insediamento sociale prevalente della sinistra.
Le riforme efficaci non sempre godono di un largo consenso e rischiare l’ impopolarità nei punti di forza tradizionali in attesa di un’ipotetica riconoscenza da parte di ceti che costituiscono l’insediamento sociale prevalente degli avversari o da parte delle generazioni future, esige un coraggio e un’autorevolezza che al momento mancano ai gruppi dirigenti del centrosinistra.
Mancano coraggio e autorevolezza:
Un coraggio e un’autorevolezza che purtroppo non posseggono neanche i giovani, da questo punto di vista ancora più “vecchi” degli attuali leader. Mettere in conto di perdere consensi nel proprio insediamento di sempre per conquistarne altri più estesi in quello degli avversari è un rischio che diventa avventatezza senza una capacità di radicarsi nei territori e di leggere correttamente il cambiamento sociale. Ma è un rischio da correre se si vuole contribuire a governare i processi di cambiamento della società.
Senza il coraggio di scegliere le proposte più efficaci sui temi del presidenzialismo, della riforma elettorale, della giustizia, del federalismo fiscale, della pubblica amministrazione e delle riforme economico-sociali, il Pd e il centrosinistra non appariranno mai credibili e convincenti e non riusciranno a stanare il centrodestra dalla politica degli annunci e delle promesse.
Al momento, l’accoppiata Berlusconi-Bossi dimostra una straordinaria capacità nel dividersi il lavoro di convincere gli elettori. Nel centrosinistra un analogo gioco di squadra tra il Pd e le altre forze politiche non è nemmeno immaginabile senza prima produrre una diagnosi condivisa della società e un’elaborazione programmatica che aiuti un confronto di questo tipo, volto anche a superare la conflittualità permanente.
Interpretare correttamente le trasformazioni sociali ed avere il coraggio di scegliere sono, dunque, i prerequisiti di una cultura politica nuova che possa andare ad intercettare il malcontento destinato a crescere nei prossimi anni.