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Cosa prevede il decreto dignità
Il decreto dignità si suddivide in una serie di punti qualificanti a partire da quello che riguarda le imprese. È prevista l’immediata abolizione di alcuni strumenti a lungo osteggiati dal mondo imprenditoriale tricolore, quali ad esempio il redditometro, lo spesometro, gli studi di settore e lo split payment.
Non meno rilevante il secondo punto, quello che va ad affrontare le delocalizzazioni, ovvero gli spostamenti della produzione all’estero da parte di molte imprese italiane. In particolare, le aziende che prendono fondi statali non potranno più chiudere siti produttivi nel nostro Paese e andare all’estero prima che siano trascorsi dieci anni, pena sanzioni anche piuttosto pesanti. Le imprese che decideranno di farlo comunque dovranno pagare penali che potranno arrivare sino a quattro volte quanto avuto dallo Stato.
Altro punto di rilievo del decreto dignità è quello con il quale l’esecutivo intende tutelare i livelli occupazionali nel caso di imprese che abbiano ricevuto finanziamenti pubblici. Anche in questo caso ove l’impresa interessata vada a ridurre il numero di addetti dell’attività interessata prima di dieci anni dal momento in cui è stato riscosso il beneficio statale, sarà possibile la revoca del finanziamento.
La precarietà del lavoro in Italia
Il quarto punto del decreto dignità va ad affrontare il tema della sempre più diffusa precarietà del lavoro in Italia. In particolare, si cercherà di porre un argine al ricorso sempre più intenso ai contratti a termine da parte delle imprese. Se, infatti, il limite massimo sarà mantenuto a 36 mesi, ci sarà invece una stretta sulle proroghe, le quali potranno arrivare ad un massimo di quattro, una in meno di quanto non sia possibile oggi.
Inoltre, ogni volta che un contratto a termine sarà rinnovato, i costi contributivi cresceranno di mezzo punto percentuale. Sarà reintrodotta la causale, che dovrà essere indicata nel primo rinnovo o nei contratti che vadano ad oltrepassare il termine di un anno.
Da segnalare infine il rinvio al primo giorno del prossimo anno dell‘obbligo di fatturazione elettronica da parte dei benzinai, in relazione all’acquisto di carburante da parte delle cosiddette partite IVA.
L’opposizione di Confindustria e Confcommercio
Il provvedimento decreto dignità, nelle intenzioni di Di Maio, dovrebbe andare a porre rimedio alla precarizzazione sempre più accentuata del lavoro nel nostro Paese. Non è stato però accolto con grande favore da Confindustria e Confcommercio. Carlo Sangalli, il numero uno dell’organizzazione che raggruppa gran parte dei commercianti italiani ha definito il decreto come un passo indietro inaccettabile. Opinione condivisa da Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, che ha indicato soprattutto nella stretta sui contratti a termine un modo di riproporre lacci per l’imprenditorialità italiana.
Occorre però ricordare che molti economisti hanno da tempo affermato che la progressiva precarizzazione in atto nel mondo del lavoro stia portando il nostro Paese in una direzione sbagliata. Secondo questi pareri, l’Italia non può reggere una competizione su prodotti a basso costo portata avanti svalutando il lavoro. Una competizione in cui le tigri asiatiche e i Paesi dell’est europeo sono inavvicinabili, per ovvi motivi.
La direzione giusta sarebbe invece quella che prevede la presenza del Made in Italy nel settore dei prodotti di alta fascia, ove a fare la differenza potrebbero essere la creatività e le robuste dosi di innovazione che caratterizzano le merci italiane.
Resta quindi da vedere se il mondo delle imprese vorrà seguire Di Maio nella sua battaglia contro alcuni aspetti che hanno segnato l’opinione pubblica in questi ultimi anni, oppure andare subito allo scontro frontale con l’esecutivo gialloverde che però, almeno nei sondaggi, sta navigando a gonfie vele.