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Accesso alla dirigenza della Pubblica Amministrazione:
In particolare questa riforma riguarda le cariche dirigenziali; se attualmente ci sono dirigenti statali, regionali e locali, con la riforma si propone la possibilità di accorpare tutto in un unico ruolo dirigenziale.
La modalità di accesso alla dirigenza della Pubblica Amministrazione è quella di un corso-concorso; prevista inoltre una accurata formazione oltre all’obbligo per i dirigenti di essere sottoposti ad una selezione per ogni livello.
Senza dimenticare il necessario periodo di prova che è di tre anni: la durata massima di ogni incarico è di quattro anni con possibilità di rinnovo dei due anni successivi e non di più.
Retribuzioni collegate al risultato:
Cambiano anche le retribuzioni secondo quanto contenuto nella proposta della riforma Madia: viene data maggiore importanza alla componente meritocrazia.
Nel concreto vuol dire che la retribuzione verrebbe collegata almeno per il 30% al risultato in modo da premiare coloro che si distinguono per risultati ottenuti.
I dirigenti che invece non riescono a raggiungere gli obiettivi stabiliti avrebbero un anno di tempo per potersi procurare un nuovo incarico così da non decadere dal ruolo.
Ma nonostante la grande soddisfazione di Renzi a seguito della prima approvazione estiva della riforma Madia, nelle ultime ore è arrivata la bocciatura da parte della Corte Costituzionale.
La bocciatura della Corte Costituzionale
L’organo di garanzia costituzionale ha emesso la sentenza 251 nella quale si va a rimarcare l’incostituzionalità della riforma della Pubblica Amministrazione.
In particolare la Consulta ha posto l’attenzione sul fatto che tale riforma lede l’autonomia delle Regioni in quanto prevede di riformare l’assetto pubblico solo “previo parere” e non “previa intesa” con le Regioni.
E, come si evidenzia nella sentenza, si tratta di materie (dai dirigenti della sanità alle partecipate e ai servizi locali come trasporti, rifiuti, illuminazione ecc..) sulle quali le regioni stesso non possono essere solo consultate.
Cosa cambia ora per il Governo?
La bocciatura piuttosto netta arriva, tra l’altro, poche ore dopo l’approvazione definitiva di cinque decreti attuativi della riforma. Con questa sentenza della Consulta, ora, almeno tre sarebbero da cambiare e riscrivere.
Quelli che riguardano i dirigenti, le partecipate e i servizi pubblici, mentre per quanto concerne il testo unico del pubblico impiego, potrebbe restare come è adesso in quanto non ancora approvato dal Consiglio dei ministri, che ha tempo fino a febbraio per farlo.
Una doccia fredda per il Governo che probabilmente non si aspettava questa bocciatura. La legge delega dovrà ora essere cambiata. La replica del premier Renzi è stata piuttosto seccata parlando di una sentenza eccessiva parte di una burocrazia opprimente che non guarda al futuro dell’Italia.
Le opposizioni ovviamente esultano; anche perchè il ricorso alla Consulta era partito proprio dalla regione Veneto, guidata dal leghista Luca Zaia.