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Capitalismo: significato e storia

capitalismo

Il capitalismo è un sistema economico e sociale in cui i mezzi di produzione, come fabbriche e risorse, sono di proprietà privata e gestiti per il profitto. Questo modello economico si contrappone a sistemi come il socialismo e il comunismo, dove i mezzi di produzione sono di proprietà collettiva o statale.

Gli elementi caratterizzanti del capitalismo sono la libera concorrenza, la proprietà privata e il mercato libero, che determinano i prezzi e la distribuzione delle risorse, e sono sottolineati da diverse teorie economiche, tra cui la più famosa è quella di Adam Smith, considerato il padre di questa corrente economica e sociale, in netta contrapposizione con Karl Marx, uno dei più aspri contestatori.

Le origini storiche del capitalismo

Le radici del capitalismo possono essere rintracciate nel tardo Medioevo e nel Rinascimento, quando iniziò a svilupparsi un commercio più articolato in Europa. Le città mercantili, come Venezia e Genova, divennero centri di scambio e innovazione economica. Tuttavia, fu con la rivoluzione industriale nel XVIII secolo che questa corrente si affermò come sistema predominante. L’industrializzazione portò a una produzione di massa e a un aumento della domanda di lavoro, trasformando le strutture sociali ed economiche.

Se possiamo riassumere le fasi principali che hanno portato al capitalismo attuale, possiamo citare tre momenti chiave. Il primo è il già citato capitalismo commerciale, caratterizzato da attività mercantili e dall’accumulo di capitale attraverso il commercio. I mercanti investivano in esplorazioni e nuove rotte commerciali, portando a un aumento della ricchezza e dell’influenza europea nel mondo.

Il secondo, come detto, è il capitalismo industriale, con le fabbriche che sostituirono le botteghe artigiane, e l’innovazione tecnologica permise una produzione su larga scala. Questo periodo vide anche l’emergere di nuove classi sociali, come quella operaia e la borghesia, che giocarono un ruolo da protagonisti nel modello capitalistico.

Nel XIX secolo, il capitalismo si evolse ulteriormente, dando vita al capitalismo finanziario. In questa fase, le istituzioni finanziarie come banche e borse di valori divennero centrali nel sistema economico. Le grandi imprese iniziarono a raccogliere capitali attraverso l’emissione di azioni, portando a una maggiore interconnessione tra economia reale e mercati finanziari.

Adam Smith e la “mano invisibile”

Adam Smith, nel suo lavoro fondamentale “La Ricchezza delle Nazioni” pubblicato nel 1776, ha delineato i principi del capitalismo e ha introdotto il concetto di “mano invisibile”. Questa metafora descrive il modo in cui le azioni individuali, motivate dal desiderio di profitto personale, possono risultare in vantaggi per la società nel complesso.

Secondo Smith, in un mercato libero, quando gli imprenditori cercano di massimizzare i propri profitti, sono costretti a soddisfare le esigenze e i desideri dei consumatori. Questo processo stimola la concorrenza e l’innovazione, portando a una produzione più efficiente e a prezzi più accessibili. La “mano invisibile” suggerisce che, senza necessità di pianificazione centrale, le forze del mercato possono autoregolarsi, creando un equilibrio naturale tra domanda e offerta, processo fondamentale per il progresso economico e sociale.

Tuttavia, è importante notare che le idee di Smith sono state oggetto di critiche, prima tra tutte quella di Marx di cui parleremo in seguito, e reinterpretazioni nel corso della storia, specialmente per quanto riguarda le disuguaglianze e le crisi che possono emergere in un sistema capitalistico non regolato.

Karl Marx e il Capitale

Karl Marx, filosofo ed economista tedesco del XIX secolo, è noto per la sua profonda critica al capitalismo, espressa principalmente nella sua opera “Il Capitale”, oltre ad essere stato il più grande ispiratore della Rivoluzione d’Ottobre in Russia che portò al potere i sovietici ma anche a cambiamenti radicali delle economia di altri Paesi, come la Cina e Cuba.

Marx sosteneva che il capitalismo fosse un sistema intrinsecamente sfruttatore, basato sull’accumulo di profitto a spese della classe lavoratrice. Secondo lui, il valore di un prodotto deriva dal lavoro necessario per la sua produzione, ma nel capitalismo, i capitalisti, proprietari dei mezzi di produzione, si appropriavano del surplus creato dai lavoratori, generando così profitti senza corrispondere adeguatamente il valore del lavoro svolto. Questo fenomeno, definito “plusvalore“, porta a una crescente disuguaglianza economica e sociale, ma anche a crisi cicliche di overproduzione e sottoconsumo, evidenziando la sua instabilità intrinseca. La sua teoria della lotta di classe suggeriva che il capitalismo sarebbe destinato a cadere, sostituito da un sistema socialista in cui i mezzi di produzione sono collettivi.

Turbo capitalismo e globalizzazione

Il turbo capitalismo è un termine che descrive una forma di capitalismo caratterizzata da un’intensa accelerazione dei processi economici e da una crescente interconnessione globale, spesso associata agli sviluppi tecnologici e all’espansione del libero mercato a livello internazionale. Un modello emergente si è consolidato a partire dagli anni ’80, grazie alla deregolamentazione dei mercati, alla liberalizzazione del commercio e all’innovazione tecnologica, che hanno permesso un flusso rapido di capitali, beni e informazioni tra paesi.

La globalizzazione, intesa come il processo di integrazione economica e culturale tra le nazioni, si configura come un fattore fondamentale nel potenziare il turbo capitalismo, rendendo le economie più interdipendenti. Le multinazionali, in questo contesto, hanno assunto un ruolo predominante, spostando la produzione in paesi con costi del lavoro più bassi e sfruttando le differenze normative per massimizzare i profitti.

Se da un lato, ha contribuito a un incremento della crescita economica globale, creando opportunità di lavoro e migliorando gli standard di vita in molte regioni, dall’altro ha accentuato le disuguaglianze economiche, sia tra paesi sviluppati e in via di sviluppo, sia all’interno delle nazioni, poiché i benefici della crescita non sono stati distribuiti equamente.

Critiche al turbo capitalismo

Le critiche al turbo capitalismo si concentrano anche sull’impatto ambientale di un’economia che privilegia il profitto immediato rispetto alla sostenibilità a lungo termine. La ricerca continua di crescita ha portato a un aumento dell’estrazione di risorse naturali e a una produzione intensiva di rifiuti, contribuendo al cambiamento climatico e all’esaurimento delle risorse.

Al riguardo, si è così aperto un ampio spazio per esplorare modelli alternativi di sviluppo, come l’economia circolare e il capitalismo inclusivo, che cercano di integrare i principi di equità e sostenibilità nella logica economica dei nostri tempi.

Matteo Di Medio

Giornalista - Content Manager presso Linking Agency; Caporedattore e Autore presso Giocopulito.it e Influentpeople.it

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