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Misteri di Cronaca Nera

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Santina Renda: il mistero della bambina scomparsa da 27 anni

Era il 23 marzo 1990, quando dal Centro Edilizia Popolare di Palermo (Cep) sparì Santina Renda, 6 anni.
Due anni prima, sempre da quel quartiere, oggi chiamato San Giovanni Apostolo, era sparito Nino, 6 anni, e due anni dopo, il 5 marzo 1992, svanì nel nulla Maurizio Renda, 6 anni, cugino di Santina. Nino fu ritrovato ancora in vita, di Maurizio fu rinvenuto il corpo, era stato ucciso, e di Santina si perse ogni traccia.
Molte le coincidenze legate a queste tre sparizioni. Le vittime abitavano tutte nello stesso quartiere, erano vicine di casa, avevano la stessa età, giocavano negli stessi posti, erano legate da vincoli di parentela, scomparvero una ogni due anni e tutte nel mese di marzo.

Omicidi tipici dei serial killer

La probabile non casualità degli eventi, il ripetersi delle circostanze, la quasi certa motivazione sessuale puntarono il dito su un ipotetico serial killer. Ma solo un delitto fu provato, quello del piccolo Maurizio, per questo l’assassino fu escluso dalla cerchia dei ‘seriali’, da quelli che, per convenzione e per essere definiti tali, devono aver commesso almeno due omicidi.
Il caso, comunque, rimase dubbio, tanto che il Dipartimento di psicopatologia forense dell’Università di Roma lo incluse, di fatto, nell’elenco degli omicidi tipici dei serial killer. Comunque, tutto comincia a marzo del 1988. Nino, A.S., esce da casa per andare a giocare giù in strada e non fa più ritorno. Scatta l’allarme e iniziano le ricerche.
Tre giorni dopo, il piccolo è ritrovato in un canile, a poca distanza dal Cep. Ha subito violenza ed è legato a un palo con un filo di rame. Nino è in coma. Dopo cinque giorni si risveglia, ma non ricorda nulla di quello che è accaduto, ha cancellato dalla sua memoria ogni traccia dell’aggressione subita. Del responsabile di tanta ferocia non si riesce quindi ad ottenere nessun indizio.

La sparizione di Santina Renda

La brutta storia di Nino ha creato scompiglio e preoccupazione nel quartiere. Le ipotesi di piazza su chi sia stato e perché girano da una casa all’altra, generando quel senso di viva paura che poi, immancabilmente, si affievolisce con il passare del tempo.
Così, i mostri lentamente si allontanano e i bambini tornano a giocare nei cortili. Della storia di Nino non si parla più tanto, fino al 23 marzo 1990. E’ un venerdì pomeriggio. Santina e la sorella Francesca di 5 anni escono da casa per andare a giocare in uno spazio antistante le case popolari, in via Pietro dell’Aquila.
Da lì Santina sparisce, nessuno sa più che fine abbia fatto. La sorellina Francesca parla di un uomo che avrebbe offerto una caramella alla bambina e l’avrebbe portata via, poi, dice che con l’uomo c’era anche una donna cattiva.
Questa testimonianza porta gli inquirenti a sospettare un rapimento da parte degli zingari e la notizia, diffusa attraverso i network nazionali, scatena un’ondata di testimonianze, perlopiù false.

Rapita dagli zingari?

Santina sarebbe stata vista in un campo nomadi di un’altra regione; altri testimoni affermano di averla riconosciuta in una stazione di servizio dell’autostrada, era in compagnia degli zingari. Intanto si fanno appelli, si organizzano fiaccolate e centri di raccolta. L’Italia si mobilita. Tutti cercano la bambina.
Una cosa è certa: Santina Renda non è stata rapita per chiedere un riscatto. La famiglia non è abbiente, il padre, 28 anni, fa il raccoglitore di ferro vecchio, la madre, 26 anni, non lavora e in casa ci sono altri quattro figli da mantenere: Caterina, 10 anni, Francesca, 5 anni, Valentina, 3 e Francesco, 2. Forse, è stata venduta?
Il nonno di Santina è il fratello di un uomo che per 15 milioni di lire ha venduto una neonata a una coppia di Casoria, Napoli, e che potrebbe essere coinvolto nella sparizione. L’ipotesi è presa in considerazione soprattutto perché la denuncia, presentata agli inquirenti dall’ex convivente dell’uomo e madre della piccola ceduta, è arrivata solo pochi giorni prima la sparizione della bambina, anche se il fatto risale al 1985, a cinque anni prima.

Gli affari legati al traffico di bambini e lo ‘scimunitu’

Le indagini arrivano così nei loschi giri del traffico di bambini, senza riuscire però a provare nulla e l’ipotesi della vendita presto cade. Rimangono in piedi solo gli zingari. Tutti i campi nomadi d’Italia sono perquisiti e qualche nomade finisce pure in manette, ma gli accertamenti, anche qui, non portano alcun dato certo, nessun prova, non ci sono colpevoli e la pista degli zingari è messa da parte.
Le informazioni intanto continuano ad arrivare e tra queste una focalizza l’attenzione degli inquirenti. Quel venerdì pomeriggio, qualcuno ha visto Santina in compagnia dello scimunitu, dello scemo, come lo chiamano al Cep.
Lui, lo scimunitu, è Vincenzo Campanella, ha 16 anni, soffre di turbe psichiche, abita vicino ai Renda ed è anche un loro parente acquisito, il fratello ha sposato la sorella del papà di Santina.
Nel quartiere sanno bene che le turbe di Vincenzo sono di tipo sessuale e che spesso va in giro in compagnia di qualche bambino, ma nessuno è disposto ad attribuirgli la colpa. Non può essere lui, dicono.

La confessione di Vincenzo Campanella

Interrogato, Vincenzo cade più volte in contraddizione. Accusa un uomo di 26 anni, ma le testimonianze non gli danno ragione e lo smentiscono. Interrogato ancora, alla fine confessa e si addossa la colpa della morte della piccola Renda:

 

Santina è morta cadendo dal motorino, ha battuto la testa. Il corpo l’ho deposto prima in una valigia, poi in un cassonetto dei rifiuti” – Ansa, 11/3/1992.

 

Secondo quanto riferisce Campanella, Santina sarebbe stata invitata a salire sul motorino, accidentalmente, sarebbe poi caduta dalla sella, battendo mortalmente la testa a terra.
Spaventato, avrebbe caricato il corpo di Santina su un motofurgone, occultandolo poi in un cassonetto. Partono subito le ricerche nella zona di raccolta dei rifiuti, a Bellolampo, una collina a ridosso del Cep. Il compito è arduo e infruttuoso.
Sono passati troppi giorni da quando il corpo di Santina Renda, a detta di Vincenzo, è stato gettato in un cassonetto. Tonnellate e tonnellate di rifiuti hanno continuato ad accumularsi, una sull’altra, nella discarica e a essere via via incendiate.
Lì, a Bellolampo, non si trova nulla e, senza la prova certa della morte di Santina, senza il corpo della piccola, il reato non può essere confermato.

Quel corpo che non si trova da nessuna parte

A cinque giorni dalla confessione, mancando la prova del reato, Vincenzo Campanella ritratta tutto. Non è stato lui, non c’entra niente con la scomparsa di Santina.
Così, senza prove fondate, i giudici del Tribunale per i minori prosciolgono Vincenzo, la sua prima confessione, dicono, non trova fondamento, è solo il frutto di una mente obnubilata. Il tempo non darà ragione a questa conclusione.
Le ricerche di Santina continuano. C’è chi l’ha vista a Messina, dove vivrebbe un nomade che sarebbe stato visto in giro per il Cep pochi giorni prima della sparizione, altre segnalazioni riconoscono la piccola in Grecia e in Tunisia; in una lettera anonima, spedita dalla provincia di Pordenone, si legge che Santina è in Jugoslavia, nelle mani di un’organizzazione criminale dedita al traffico di organi.
Tante le indicazioni, per lo più anonime, su dove cercare Santina o trovarne il corpo, tutte però prive di fondamento. Sulla sorte della bambina non si riesce a scoprire nulla.

La sparizione di un altro bambino

Arriviamo così al 5 marzo 1992. Nel pomeriggio, Maurizio Renda, 6 anni, esce da casa per andare a giocare con gli amici. Dopo alcune ore, di lui non si sa più nulla, sparito come Santina.
C’è un suo amichetto, però, un bambino con cui stava giocando, che racconta subito qualcosa d’importante:

 

Sta con Enzo, sono andati a riempire acqua con la Motoape alla Montagnola, per spegnere il rame” – Ansa, 6/3/1992.

 

Enzo è Vincenzo Campanella, lo stesso ragazzo che si era autoaccusato della morte di Santina. C’è di più, Campanella recupera il rame avvolto nei fili di plastica, li brucia e poi li raffredda con l’acqua.
Ancora in vita, legato a un palo con un filo di rame, nel 1988, era stato ritrovato A.S., il primo dei tre bambini spariti dal Cep. Nuovamente, Vincenzo è fermato e interrogato. Ancora una volta si autoaccusa.

Colpito con una spranga e strangolato con il filo di ferro

Ha convinto Maurizio a fare un giro con lui sul motofurgone, portandolo così in un luogo isolato. Ha aggredito il bambino, che si è difeso con tutte le sue forze, riuscendo inizialmente a sfuggirgli, ma lo ha ripreso, colpito alla testa con una spranga e strangolato con un filo di ferro.
Poi, ha caricato il corpo sul motofurgone e lo ha scaricato vicino al muro di cinta di un residence, nascosto tra le sterpaglie. E lì, tra le sterpaglie, dove Vincenzo ha indicato, è ritrovato il cadavere di Maurizio, accanto al suo corpo ci sono la spranga insanguinata e il filo di ferro.
Questa volta Vincenzo Campanella è incastrato. Le prove della sua colpevolezza non lasciano spiragli di salvezza, non ci sarà nessuna ritrattazione. Ha ucciso Maurizio Renda, lo conferma, ma nega il coinvolgimento nella sparizione di Santina e la responsabilità per l’aggressione al piccolo Nino, avvenuta nel 1988.
Anche allora, nel marzo del 1988, gli amichetti di Nino riferirono agli inquirenti di averlo visto per l’ultima volta in compagnia di ‘Enzo u scimunitu’… .

Omicidio e violenza carnale

I seri problemi comportamentali di Campanella li conoscevano tutti al Cep. Era debole mentalmente, mitomane, violento, tanto che in passato era stato curato in strutture psichiatriche. Dopo l’arresto, anche la madre confermò l’instabilità psichica del figlio:

 

“… Enzo ha tentato di uccidere anche me, ho telefonato al 113, volevo che andasse in manicomio, mi hanno risposto che non esisteva più” – Ansa, 8/3/1992.

 

La perizia psichiatrica del 1992 lo definì capace di intendere e volere al momento di agire. Vincenzo Campanella fu riconosciuto quindi colpevole della morte di Maurizio Renda e della violenza carnale inflitta ad A.S. nel 1988: 28 anni di reclusione per l’accusa di omicidio e 10 anni per quella di violenza; le due pene furono cumulate e ridotte prima a 30 anni, poi a 29.

Di Santina nessuna traccia

Nessuna condanna, invece, per la scomparsa di Santina Renda: il processo per il rapimento e l’uccisione della bambina, in mancanza di prove e senza il ritrovamento del corpo, si concluse con la piena assoluzione, confermata poi in appello.
Amalia Settineri, uno dei magistrati che lavorava ai casi del Cep, dopo la confessione di Campanella, quella del 1992, e la certezza della sua responsabilità, dichiarò: “Anche i giornali, nel 1990, non credettero alla colpevolezza di Campanella, come del resto la gente del Cep, che soltanto oggi, quando tutto è più facile, si dice convinta della solare responsabilità di Enzo nell’uccisione di Nunzio, mentre allora nessuno volle testimoniare contro di lui nella vicenda di Santina”.

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