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Chi era Christa Wanninger
Christa Wanninger, 22 anni, nata a Monaco di Baviera, da circa due anni frequenta la capitale. Ragazza riservata, la bellezza non gli fa certo difetto: capelli biondi a caschetto e grandi occhi azzurri a completare un volto angelico. Più che in cerca di fortuna sembra essere in cerca di un’identità: come molti giovani della sua età insegue la spensieratezza con la prospettiva di una vita intera davanti. Abita in una pensione in Via Sicilia, si divide tra il lavoro di segretaria e quello di interprete.
E’ fidanzata con un rappresentante di origini toscane ma non vuole sentirsi vincolata da una relazione, motivo per cui spesso si concede delle brevi vacanze con altre persone. Frequenta spesso la zona di Via Veneto anche perché nella vicina Via Emilia risiede una sua amica, anch’essa tedesca, che si chiama Gerda. È quello che fa anche nel pomeriggio del 2 Maggio, recandosi al quarto piano del civico 81.
Il delitto di Christa Wanninger
Sono le 14:30 quando la portinaia del palazzo di Via Emilia 81 sente delle urla strazianti provenire dai piani alti. Si dirige immediatamente verso le scale e arriva fino al quarto piano, dove scopre con sgomento la presenza del corpo di una ragazza in fin di vita, sdraiata a terra e circondata da un bagno di sangue. Sul posto accorrono numerosi inquilini e viene avvertita la Polizia. Gli agenti arrivano sul posto ma purtroppo non c’è più nulla da fare: la giovane è stata uccisa da sette coltellate: colpi feroci che hanno posto fine alla sua esistenza. Quella ragazza si chiamava Christa Wanninger.
Le prime piste di indagine
Il tutto si era verificato davanti alla porta di casa dell’amica, nello spazio che separava l’ascensore dall’ingresso dell’abitazione. I poliziotti vogliono sentire proprio lei: suonano il campanello e bussano insistentemente ma nessuno apre. Dopo numerosi tentativi alla fine Gerda si affaccia: è assonnata, la notte prima ha fatto molto tardi e a quell’ora stava dormendo profondamente. Non sa niente di quello che è successo e non ha sentito nulla, anestetizzata dal mondo dei sogni.
Christa le aveva telefonato quel giorno alle 12:30 per fissare l’incontro con lei nel primo pomeriggio. Gli inquirenti però non sono convinti dalla sua versione dei fatti: possibile non avesse udito le urla agghiaccianti dell’amica appena fuori dal suo portone? La ragazza è sospettata di favoreggiamento e viene condotta in questura, si immagina qualche modo un suo coinvolgimento; tuttavia gli inquirenti escludono possa essere lei l’esecutrice materiale del delitto.
Sotto i riflettori delle indagini finisce anche il fidanzato, il quale pare fosse piuttosto geloso: sembra ci fosse stata una lite in proposito tra i due anche pochi giorni prima. La Polizia lo interroga, dall’escussione non emerge nulla di incriminante, anzi l’uomo ha un alibi: il giorno dell’omicidio era stato a pranzo con degli amici, poi era passato in edicola e infine dal barbiere (fonte: Misteri d’Italia).
L’uomo in blu
La pista passionale inizia piano piano a sfumare e nel mentre si affaccia un’altra ipotesi, proveniente dalle testimonianze delle persone che erano accorse sul luogo del delitto, attirate dalle grida della ragazza. I testimoni dichiarano di aver visto in quei momenti concitati un uomo che scendeva le scale. Aveva circa 30 anni, alto, magro, dall’aspetto emaciato, indossava un cappotto blu. Aveva un atteggiamento piuttosto indifferente mentre si allontanava dal palazzo. Viene stilato un identikit, i giornali lo soprannominano “L’uomo in blu”. Chi era questo soggetto? Identificarlo potrebbe dare una svolta al caso, ma la questione non è affatto semplice.
Le indagini proseguono, vengono investigate tutte le persone vicine alla vittima ma non emerge niente di rilevante, alla fine anche Gerda viene scarcerata. A questo punto resta in piedi la possibilità che si sia trattato di un omicidio occasionale, magari non c’era nessun tipo di rapporto tra vittima e assassino ma Christa potrebbe essere rimasta preda di un folle che aveva agito senza nessuna logica. Se le cose stessero davvero così, la soluzione si complica e non di poco. In effetti passano diversi mesi e la situazione resta bloccata in un punto di stallo da cui appare impossibile avanzare. Tuttavia, proprio quando il delitto sembra essere condannato a restare irrisolto, accade qualcosa che rimette in gioco l’inchiesta.
Chi era il pittore
È il 6 Marzo 1964, sono passati quasi dieci mesi dal delitto Wanninger e l’attenzione mediatica sul caso si è attenuata. Niente fa pensare che possa arrivare una svolta ma quando un giornalista del Momento-sera riceve una telefonata tutto improvvisamente cambia. Dall’altro capo del filo una voce maschile dichiara di essere il fratello dell’assassino di Christa e fa sapere che dietro a un lauto compenso di 5 milioni di lire avrebbe detto tutto quello di cui era a conoscenza (fonte: Misteri di Italia).
Il giornalista resta al telefono con lo sconosciuto mentre nel frattempo avverte i Carabinieri, i quali in breve tempo localizzano la cabina telefonica che il telefonista stava utilizzando e la raggiungono. Sul posto trovano l’ormai ex ignoto chiamante. Si chiama Guido Pierri, ha 32 anni, è di origini toscane e fa il pittore. Gli agenti notano una somiglianza con l’identikit dell’”uomo in blu” (fonte: Rai).
Viene predisposta una perquisizione nella sua abitazione. In casa vengono trovati quadri inquietanti, i soggetti di alcune delle sue opere sono giovani donne che vengono prese nelle grinfie di creature mostruose. Come indizio sarebbe un po’ debole se non fosse per la presenza di quattro diari nel quale il pittore espone teorie misogine e scrive un fedele racconto del delitto di via Veneto (fonte: Fanpage).
Un’altra pista che si dissolve
Pierri si difende: in realtà quei diari erano soltanto la prima stesura di un romanzo giallo a cui stava lavorando e per l’occasione aveva preso come fonte di ispirazione l’omicidio di Christa. In seguito, gli era capitato di leggere l’annuncio riguardante la ricompensa a chi avesse fornito informazioni sul caso e aveva cercato in maniera discutibile di fare un po’ di soldi. Queste sono le sue dichiarazioni. Alla fine, l’uomo viene incriminato per tentata truffa, sul resto non ci sono elementi che possano provare in maniera certa una sua eventuale responsabilità. La vicenda finisce nuovamente nel buio (fonte: Wikipedia).
La luce in fondo al tunnel?
- Sono passati 8 anni dal cosiddetto “delitto della dolce vita”, ormai amaramente quasi dimenticato. L’idea di relegare questo caso all’oblio però non si è mai affacciata nella mente di Renzo Mambrini, ex maresciallo dei Carabinieri che è andato in pensione proprio per continuare a cercare la verità su questa storia che gli era rimasta particolarmente impressa.
Al termine delle sue indagini scrive un romanzo dal titolo “Christa” in cui sostiene di aver risolto l’omicidio, consegnando il testo anche ai magistrati. Nello specifico l’autore afferma che Guido Pierri sarebbe stato l’assassino. Mambrini morirà purtroppo in un incidente stradale alla fine dell’anno. Resteranno le sue memorie consegnate agli inquirenti che, dopo più di un decennio, faranno riaprire il caso. Nel 1977 Guido Pierri viene arrestato. Dovrà sostenere un procedimento giudiziario con l’accusa di essere l’autore del delitto di Christa Wanninger (fonte: CronacaNera.it).
Un processo intricato
Il dibattito inizia nel 1977, gli indizi a carico dell’imputato vengono rianalizzati e Pierri viene sottoposto a una perizia psichiatrica: l’uomo ribadisce la sua innocenza e alla fine il processo di primo grado si conclude con un’assoluzione. Tuttavia mancano ancora due gradi di giudizio e bisognerà aspettare otto anni per il processo d’appello che ha luogo nel 1985. A Novembre viene emessa la sentenza che ribalta tutto: l’imputato viene dichiarato colpevole di omicidio volontario benché totalmente incapace di intendere e di volere al momento del fatto (fonte: Wikipedia).
Nel 1988 la Cassazione conferma la sentenza di Appello, scrivendo la parola fine sulla vicenda giudiziaria: Pierri quindi, era ritenuto colpevole dell’omicidio di Christa Wanninger, ma non finirà in carcere in quanto non imputabile – né in un ospedale psichiatrico giudiziario – perché ritenuto ormai sano e non socialmente pericoloso (fonte: Wikipedia).
L’opinione pubblica si divise sugli esiti del processo, tra chi riteneva l’imputato colpevole e chi lo considerava vittima di errore giudiziario. In alcuni casi si arrivò persino a sostenere che il delitto fosse in realtà maturato nell’ambiente dei servizi segreti, una pista decisamente poco probabile.
Appare invece più plausibile che un omicidio così disorientante e incomprensibile rappresenti l’atto di una mente dissennata che ha agito seguendo un suo contorto modo di pensare. Questa sembrerebbe l’interpretazione più realistica che si può dare al delitto, a prescindere da chi si pensi possa essere stato il colpevole.
Conclusione
Al termine di tutto ciò rimane un grande senso di amarezza. Amarezza per una giovane vita spezzata e per l’immagine che venne restituita della vittima, relegata a un ruolo di ragazza frivola che in realtà non le rendeva giustizia. Forse si parlò poco della Christa che era rimasta orfana della madre in giovane età ed era stata costretta ad arrangiarsi da sola. Christa che viveva in una pensione, che amava la musica jazz e portava avanti la sua passione per la fotografia. Christa che cercava la sua strada nel mondo dividendosi tra l’Italia e la Germania prima che le venisse strappata qualsiasi prospettiva di futuro.