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Aral Gabriele, il Laureando. Il delitto dei coniugi Gabriele

Aral Gabriele

L’elegante attico di Via Lupatelli è immerso nella rassicurante penombra di un pomeriggio di inizio primavera; all’interno dell’appartamento, due camere da letto, tre bagni, una bella cucina e un salone spazioso che si affaccia su una terrazza verandata, l’ordine e la pulizia verranno definiti come quasi surreali, l’atmosfera ovattata.
Quella casa, dirà il Comandante dei Carabinieri Gianfranco Cavallo a Franca Leosini durante la trasmissione “Ombre sul giallo”, dà l’idea dell’abitazione che si ritrova dopo essere stati qualche giorno in vacanza: niente fuori posto, le tapparelle quasi completamente abbassate, le sedie ordinatamente accostate ai tavoli, nemmeno una giacca poggiata frettolosamente su un divano.

Il quartiere giardino di Villa Bonelli, Roma

È troppo grande e popolosa, Roma, per non essere anche strana, incostante, disordinata quel tanto che basta ad infilare angoli residenziali e borghesi nel bel mezzo di quadranti particolarmente popolari, e così va che nei pressi di Villa Bonelli, edificio ottocentesco immerso in un parco fra vialetti, fontane e una serra con piante tropicali, si sviluppi un piccolo “quartiere giardino” che da quella Villa prende il nome, scelto da professionisti, commercianti, funzionari, insomma da chi ha qualche denaro in più da spendere, ama la tranquillità, il verde e ricerca il proprio angolo di paradiso lontano dalle zone più conosciute e inflazionate.

Poco importa che due traverse più in là ci sia un grande stradone che battezza il quartiere confinante, la Magliana, che porta con sé al solo nominarlo retaggi oscuri e delittuosi (vedi: i luoghi della Banda della Magliana). Tanto sono vicini geograficamente, i due quartieri, quanto non potrebbero essere più diversi.

A Villa Bonelli, lo sanno tutti, non succede mai niente

Desta scalpore, quindi, nel pomeriggio di venerdì 22 marzo 2002, il rincorrersi di sirene, lampeggianti, ambulanze e gazzelle dei carabinieri, l’assieparsi di una piccola folla sotto a quella signorile palazzina le cui verdi terrazze si affacciano sulla Villa che dà il nome al quartiere. Nell’elegante appartamento all’attico di Via Lupatelli c’è qualcosa che scheggia la surreale e ovattata atmosfera della casa: ai piedi del letto nella stanza padronale ci sono due grandi sacchi neri, poco lontano un ragazzo, sdraiato pancia a terra sul pavimento, piange e urla inconsolabile “Mamma!Mamma!”.

Quel ragazzo si chiama Aral Gabriele, ha 27 anni, sta per laurearsi in Giurisprudenza all’Università di Camerino e non ha dubbi, dentro quei sacchi ci sono i cadaveri dei suoi genitori, giura di aver intravisto il volto dell’amata madre attraverso la grana non particolarmente spessa del suo improvvisato sudario.

La scena del delitto

Ai primi carabinieri accorsi sulla scena, oltre all’eccezionale ordine dell’intera abitazione (persino i sacchi sembrano adagiati a terra con una cura non comune a quel genere di circostanze) saltano all’occhio due cose: la presenza di una grossa valigia nell’ingresso e un foglio manoscritto sul tavolo della cucina SONO A CENA, TORNO TARDI Aral

A chiamare le forze dell’ordine non è stato Aral ma sua sorella Laila, avvocato che vive a Milano, e che da un paio di giorni non riusciva a mettersi in contatto con i suoi. Quel venerdì era stato il fratello a telefonarle in lacrime dicendole Mamma e papà sono nella plastica nera.

Quando gli chiederanno come mai, una volta rinvenuti i sacchi, non abbia avuto l’istinto di strapparli in un estremo tentativo di salvare i genitori, risponderà di non averlo fatto perché ha immediatamente avuto l’impressione di un cadavere.

È un tipo strano, Aral, non molto alto, per niente atletico, con una gran testa di lunghi capelli mossi e gli occhiali tondi, le mani piccole, sembra un incrocio fra un cartone animato giapponese e il nerd delle commedie americane per ragazzi tanto in voga in quegli anni.

I coniugi Gabriele, Gaspare commercialista e Maria Elena ex insegnante di filosofia, vengono ritrovati svestiti nella parte superiore del corpo, l’uomo a torso nudo, la donna con il solo reggiseno, gli abiti mancanti non si trovano. I rilievi del Medico Legale incrociati con le testimonianze fanno risalire il decesso alla sera di mercoledì 20 marzo, due giorni prima del ritrovamento.

Cosa ha fatto Aral in quelle quasi 48 ore?

Aral vive nello stesso stabile dei genitori ma al piano di sopra, in una mansarda cui si accede o attraverso una scala interna che conduce all’appartamento dei Gabriele o tramite la scala condominiale. Sullo stesso piano del mini appartamento del ragazzo se ne trova uno “gemello”, utilizzato da Gaspare come studio.

La time line di Aral

Stante questa particolare situazione abitativa Aral sostiene di avere avuto occasione di incrociare i genitori l’ultima volta proprio mercoledì 20 marzo quando, rientrato in casa all’ora di cena, aveva mangiato con loro, preso poi alcune gocce di sonnifero per recarsi immediatamente a dormire al piano di sopra. Infastidito da una zanzara che gli impediva di prendere sonno si era spostato nello studio del padre.

Il giorno dopo si era svegliato alle 07,30, quindi prima rispetto a quanto fossero soliti fare Gaspare e Maria Elena ed era dunque uscito passando per le scale condominiali per non disturbarli. Aveva passato la mattinata nella scuola presso la quale svolgeva il servizio civile come assistente di ragazzi disabili e il pomeriggio al Circolo del Tennis dietro casa, senza giocare.

Era poi rientrato in Via Lupatelli verso le 18.00, affacciandosi rapidamente all’attico salutando i genitori con un generico “Ciao mamma, ciao papà”; non ottenendo risposta aveva lasciato un biglietto in cui li avvisava che avrebbe passato la serata fuori ed era salito nella mansarda, aveva fatto una doccia per poi uscire passando dalle scale condominiali.

I problemi di sonno

Dopo aver passato la serata con un amico per una pizza e un film al cinema era rientrato nella mansarda verso l’una. Data l’ora era nuovamente passato dalle scale comuni. Non riuscendo a dormire – i problemi del sonno di Aral e i conseguenti rimedi avranno un ruolo centrale in questa storia – era uscito verso le 02,30, aveva acquistato nelle vicinanze un giornale ed una bottiglia d’acqua ed aveva fatto rientro a casa, cadendo finalmente fra le braccia di Morfeo.

In tutto questo bailamme, per usare la definizione dello stesso Aral, aveva dimenticato di puntare la sveglia, destandosi di soprassalto alle 10.00 passate. Senza passare per l’appartamento dei genitori, visto il grave ritardo accumulato sull’inizio dell’orario di lavoro, si era precipitato a scuola. Nel corso della mattinata la sorella allarmata gli aveva chiesto notizie dei genitori, verso le 14,30 si era imbattuto nei sacchi neri ai piedi del letto.

Un racconto che ha una coerenza

Il racconto – per quanto appaia improbabile che fra i genitori ed il figlio fosse normale non avere comunicazioni né de visu né telefoniche per quasi tre giorni – ha una sua coerenza. L’avvocato Di Maio, che difese Aral a processo, farà notare a Franca Leosini che si trattava di un giorno e mezzo, non certo di tre giorni di silenzio; cose, sostiene il legale, che accadono anche nelle famiglie che convivono nel medesimo appartamento, figuriamoci in una situazione come quella dei Gabriele, pure in considerazione del fatto che Aral ha 27 anni, mica 16. In sostanza, non era poi così assurdo che il ragazzo non si fosse allarmato.

La laurea

Non si era allarmata nemmeno la storica governante di casa Gabriele che, avendo telefonato più volte per annunciare la propria assenza nelle giornate di giovedì e venerdì, aveva udito il telefono squillare a vuoto. Nel giustificare agli inquirenti il perché della propria mancata preoccupazione dirà Mi sono detta “vuoi vedere che stanno tutti a Camerino per la laurea di Aral?”.

È questa la prima vera lampadina ad accendersi sul figlio della coppia. Aral, infatti, è ben lontano dalla Laurea. Ha dato solo 13 esami e sono due anni che non solo non ne sostiene uno, ma nemmeno rinnova l’iscrizione all’Università. Sulla propria agenda personale, però, Gaspare Gabriele annota scrupolosamente i (presunti) progressi del figlio. Pochi giorni prima aveva scritto orgoglioso Aral ha consegnato la tesi.

Stando alle informazioni rese dai testimoni agli inquirenti, infine, la discussione sarebbe stata prevista per la prima decade di aprile, al punto che erano intercorse febbrili conversazioni telefoniche fra i parenti per concertare l’acquisto di un regalo ad hoc per l’occasione.

Il fallimento del percorso universitario come movente

I carabinieri intercettano inoltre una conversazione fra i fratelli Gabriele e il marito di Laila, in cui la sorella chiede conto al ragazzo sulla questione università. Gli domanda se avesse rivelato la verità ai genitori e si vede rispondere di no, che non lo aveva fatto, che non sapeva perché, che non aveva trovato il coraggio. Il cognato gli intima di non rivelare questo fatto alle forze dell’ordine, che potrebbero assegnare a questa bugia il titolo di movente.

Che è esattamente ciò che farà il Pubblico Ministero quando nella requisitoria finale sosterrà che se pur faccia a fatica a considerarlo come movente non ha dubbi che sia questo il motivo della morte dei coniugi, in quanto Aral mai avrebbe avuto il coraggio di confessare, particolarmente al padre, il fallimento del proprio percorso universitario (Un giorno in pretura “Coniugi Gabriele: la menzogna che uccide”)

Il Minias, sonnifero, come arma

A portare Aral a processo, comunque, non sarà solo questa specifica circostanza, sebbene corroborata da conoscenti e familiari che racconteranno come in particolare Maria Elena fosse presa dai preparativi in vista della proclamazione. Oltre alle sfortunate vittime e al figlio c’è un quarto protagonista di questa brutta storia: il Minias, un potente sonnifero.

Come si dice in questi casi, infatti, i corpi parlano. I cadaveri dei coniugi Gabriele non presentano segni di colluttazione o di difesa, e dagli esami autoptici emerge che la morte sia sopraggiunta per una combinazione fra l’asfissia indotta dai sacchi ed una intossicazione acuta da alcool e benzodiazepine.

Gaspare sarebbe morto quasi subito, complici alcuni pregressi problemi di natura cardiaca, mentre l’assassino avrebbe finito Maria Elena con un’azione di soffocamento inginocchiandosi accanto al corpo supino tappando la bocca della donna con la mano e comprimendole contemporaneamente il collo con la gamba.

Come detto, il Minias è un protagonista di questa storia. È conclamato infatti che Aral avesse ereditato dalla madre una serie di disturbi del sonno e che entrambi avessero l’abitudine di aiutarsi con questo farmaco.

Nel pomeriggio di mercoledì 20 marzo Aral si era sottoposto a una visita medica e, sulla via del ritorno, si era fermato in farmacia ad acquistare una boccetta di sonnifero, nonostante in casa ve ne fossero già altre due, per quanto già cominciate. Sarà Aral stesso a informare gli inquirenti di questo fatto, sottolinea la difesa, a rimarcare la buona fede del ragazzo.

Il mix di benzodiazepine e alcool

Secondo la ricostruzione dell’accusa Aral, dopo una frugale cena a base di minestrone avrebbe comunicato ai genitori la volontà di brindare alla imminente laurea con un po’ di limoncello, si sarebbe allontanato dalla cucina brevemente, avrebbe drogato i bicchieri dei genitori con il Minias per poi attendere pochi minuti che il farmaco, noto per la sua rapidità, facesse effetto.

È proverbiale la pericolosità dell’assunzione combinata di benzodiazepine e alcool ed infatti, stando alla ricostruzione del Pm, i coniugi Gabriele sarebbero stati rinvenuti spogliati nella parte superiore in quanto l’effetto sarebbe stato così istantaneo e devastante da sorprenderli nell’atto di prepararsi per la notte, con tale efficacia da impedirgli di terminare l’operazione. A questo punto Aral avrebbe proceduto all’impacchettamento dei resti, non prima di aver finito la madre, lasciando esclusivamente l’impronta parziale di una scarpa Nike su uno dei sacchi.

Le telefonate

Non è tutto. Intorno alle 21,30, il direttore del Tennis Club cui Aral era iscritto, tale Cappelli, lo aveva cercato telefonicamente per due volte, sul fisso e sul cellulare, non ottenendo risposta. Aral lo aveva poi richiamato verso le 22,30 e Cappelli lo aveva informato che, contrariamente ai programmi, l’indomani il ragazzo non avrebbe potuto giocare.

A giudizio dell’accusa questo fatto rafforza la ricostruzione del Pm, è presumibile infatti che al momento delle chiamate di Cappelli nessuno avesse risposto in quanto in quei momenti si stesse consumando o si fosse appena consumato l’omicidio, mentre la chiamata delle 22,30 (che Aral sostiene di non ricordare) certifica che in quel momento il ragazzo non stesse dormendo il sonno dei giusti (Pm dixit). A questo punto, poi, Aral non avrebbe avuto altro motivo di trattenersi al Tennis Club che quello di stazionare lontano da casa per giustificare i mancati contatti coi genitori.

Accusa e difesa

Al di là delle convinzioni del Pubblico Ministero, ci troviamo di fronte ad un processo indiziario. Prove, non ce ne sono. Sebbene l’accusa insista con forza sul Minias (quale omicida alternativo avrebbe pensato di uccidere i coniugi Gabriele tramite il sonnifero?) e sull’imbuto sempre più stretto e pressante in cui Aral si era infilato annunciando una laurea che altro non era che un’invenzione, permangono dei dubbi e delle discrasie che la difesa cerca di cavalcare.

Se è vero che il Pm batte sul Minias gli avvocati di Aral provano a ribaltare la questione: il ragazzo non è mica un cretino, aveva studiato Giurisprudenza, i suoi amici lo descrivono come intelligente e brillante in antitesi a quella sua fisicità singolare, come avrebbe potuto non pensare al fatto che, utilizzando un sonnifero che lui stesso aveva acquistato nel pomeriggio e che veniva assunto quotidianamente in famiglia, avrebbe attirato immediatamente su di sé i sospetti?

Quanto alla storia della Laurea è Aral stesso, a processo, a raccontare di aver rivelato la verità alla madre martedì 19 marzo, era stato un dolore per entrambi, avevano pianto abbracciati, ma in fin dei conti, come sempre, lei lo aveva perdonato.

Aral mente?

Per l’accusa, anche su questo, Aral mente. Mente perché è un bugiardo patentato, infatti, fa notare il Pm, la Prof di sostegno con cui collabora racconta che nella mattinata di giovedì 21 l’imputato si è praticamente addormentato in classe, alla domanda sul perché avrebbe risposto di avere fatto tardi con gli amici la sera prima. Nel pomeriggio dello stesso giorno, poi, a un socio del Tennis Club che gli faceva notare come stesse dormendo in piedi, Aral spiegava di aver passato la notte in bianco per via della musica che proveniva altissima dallo stereo di una macchina sotto casa. Insomma non solo mente, ma lo fa con tale disinvoltura e abitudine da cambiare versione a seconda dei momenti, senza preoccuparsi di farlo con coerenza.

I punti della difesa

La difesa insiste su alcuni punti. Primo, la governante, secondo i programmi, avrebbe dovuto lavorare in casa Gabriele il giovedì mattina, come poteva pensare Aral che non avrebbe trovato i cadaveri dei coniugi? Secondo, Maria Elena era praticamente astemia, dall’autopsia è emerso però che aveva bevuto più di un bicchiere di limoncello. Va bene l’entusiasmo per la laurea del figlio, ma non sarà un po’ troppo? Non è che forse era stata costretta, sotto minaccia di un’arma, a scolarsi quel limoncello corretto al Minias da degli sconosciuti assassini?

Terzo, un’inquilina del palazzo racconta di aver sentito nei giorni in cui è successo l’omicidio un uomo e una donna parlare all’interno di casa dei Gabriele. Poteva essere giovedì o venerdì? E allora Aral non c’entra niente, se quella mattina erano vivi. Durante il processo, però, la testimone dirà di non avere assolutamente la certezza sul giorno, che magari era mercoledì, il suo racconto non ha dunque valenza processuale.

Infine, nella giacca di Gaspare Gabriele viene trovato un preservativo. Scontato che non lo utilizzasse con la moglie, non era possibile ipotizzare un movente passionale?

Aral descritto come una sorta di psycho

L’accusa rimpolpa la sua tesi attraverso i racconti di quanto successo nei mesi successivi all’omicidio e precedenti all’arresto di Aral, quando il ragazzo si trasferisce a Milano dalla sorella. In un’intercettazione telefonica fra il marito di Laila e sua madre i due lo dicono apertamente secondo me è stato lui – è dall’inizio che penso che sia stato lui – state attenti a quello che bevete.

Ci sono poi gli episodi in cui Aral perde la calma con eccessiva facilità, arrivando, dice il cognato a percuotersi il capo dicendo mi taglio la testa. L’imputato, successivamente, darà una versione diversa e ben più “urbana” dell’episodio, accusando il cognato di volerlo eccessivamente controllare.

L’intercettazione più inquietante è una ambientale nell’appartamento di Via Lupatelli, in cui Aral doveva rientrare per prendere alcune cose necessarie al trasferimento a Milano. Si odono parlare due persone, un uomo e una donna, che si scambiano salaci battute. La voce femminile è strana. Ad un’analisi fonetica le due voci risulteranno appartenere alla stessa persona. Era Aral, descritto quindi dall’accusa come una specie di Psycho all’amatriciana, a rispondersi in falsetto. Quando il Giudice gli chiederà conto di tale comportamento l’imputato fornirà una spiegazione semplice: aveva ritrovato delle vignette che evidenziavano le differenze fra uomo e donna su certi temi e le aveva lette ad alta voce interpretando i due personaggi.

Conclusioni

Aral Gabriele verrà ritenuto colpevole in tutti e tre i gradi di giudizio e condannato a 28 anni di carcere. Nonostante sia effettivamente difficile affezionarsi a piste alternative ci sono alcuni elementi che stonano.

  • Perché Aral avrebbe impacchettato i cadaveri per poi lasciarli in casa? Il pianerottolo era interamente ad uso della famiglia Gabriele e l’ascensore conduceva direttamente nel garage. Non avrebbe avuto più senso trasportare i corpi nel bagagliaio della macchina per poi farli sparire?
  • Gaspare Gabriele si interessava di aste giudiziarie e, secondo alcuni conoscenti, aveva curato gli interessi economici di un ex membro della Banda della Magliana. Quando muore qualcuno, a Roma, a un certo punto salta fuori la Banda della Magliana. Effettivamente in questo caso c’è una contiguità quantomeno geografica, sebbene la pista non abbia portato a nulla. Qualcuno ha sostenuto che Gaspare fosse coinvolto in giri di usura, ma anche qui non sono stati trovati riscontri.
  • All’inizio di marzo c’è uno strano “affaire telefonico” che coinvolge Aral e un criminologo che lavora al Ministero dell’Interno. Si cercano vicendevolmente al telefono, al Processo nessuno dei due sa dire chi abbia telefonato all’altro per primo. Il venerdì del ritrovamento dei corpi dal centralino cui fa capo l’ufficio del criminologo partono due chiamate verso casa Gabriele. Il funzionario sosterrà a processo che a quel centralino fanno capo 500 utenze. Come si è detto per la Banda, quando muore qualcuno, in Italia, a un certo punto saltano fuori i Servizi Segreti.
  • Aral, solo in un’occasione e solo per un paio d’ore si è trasformato in un ninja? Del suo fisico si è detto, che fosse abituato a compiere azioni criminose è escluso. Eppure sui sacchi non è stata trovata nessuna impronta digitale, né tracce di DNA. Non erano minimamente sgualciti o stropicciati, se si eccettua quell’orma parziale e alcune formazioni pilifere non riconducibili a nessuno sono semplicemente perfetti. Quasi ci avessero “lavorato” due persone contemporaneamente. Anche la pratica di soffocamento cui fu sottoposta la madre non sembra alla portata di chiunque. La casa era in perfetto ordine, mentre se osserviamo le immagini della mansarda di Aral trasmesse da Ombre sul giallo ci troviamo di fronte al più classico caos post adolescenziale
  • Gli avvocati di Aral riceveranno la chiamata di un uomo che si qualifica come ex collega del Dottor Gabriele “Ho lavorato con lui in una società di criminali, io ne sono uscito, lui non so”. Non verrà mai rintracciato.
  • Da casa non manca nulla, dallo studio nemmeno. Eccezion fatta per un’agenda verde. L’agenda professionale di Gaspare Gabriele.

Suggestioni o vere piste? Chissà, forse è solo l’umana tendenza a voler cercare sempre le spiegazioni più complesse. Forse questa storia è semplicemente un simbolo della proverbiale Banalità del Male. Un ragazzo sta fallendo nella sua carriera universitaria e mai vorrebbe deludere i genitori che tante aspettative ripongono in lui.

Il tunnel si fa sempre più stretto fin quando l’unica via d’uscita sembra questa: meglio ucciderli che imbrattare il ritratto perfetto che hanno di me. 

Aral Gabriele, recluso nel carcere di Volterra, si è sempre proclamato innocente ed ha scritto poesie.

Edoardo Ciufoletti

Edoardo Ciufoletti è attore e autore teatrale. Da sempre studioso e appassionato di cronaca nera.

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