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Stalking: la legge bluff

La violenza sulle donne è un fenomeno presente da sempre nel nostro Paese, un problema sommerso monitorato statisticamente solo di recente. Gli ultimi dati rilevati ne hanno infatti illustrato le notevoli dimensioni, decisamente preoccupanti secondo vari esperti del settore.
Nonostante le recenti dichiarazioni del ministro Mara Carfagna, finalizzate ad esaltare i meriti della neonata legge sullo stalking nella lotta alla violenza sulle donne, la politica sta rispondendo a questa emergenza attraverso soluzioni deboli e non convincenti: le stesse che generano ulteriore perplessità alla luce di alcune importanti constatazioni emerse in questi giorni.

Violenza di genere in Italia:

In Italia la violenza di genere è un fenomeno trasversale, che attualmente interessa ogni strato sociale, economico e culturale senza particolari distinzioni: a rivelarlo è l’Osservatorio di Telefono Rosa in un rapporto presentato il 28 luglio a Roma. Il problema riguarda soprattutto donne tra i 35 e i 44 anni, che ammettono di patire ricatti, insulti, minacce, violenza fisica, economica e sessuale.
Il 61% delle volte la violenza è invisibile, si consuma cioè all’interno delle mura domestiche e solo nel 7% dei casi si tratta di episodi isolati: nel 78% i comportamenti violenti sono reiterati. La metà delle violenze subite dalle donne nel 2009 riguarda proprio lo stalking: reato per il quale le denunce sono paradossalmente aumentate del 25% dopo l’entrata in vigore della relativa legge.

I centri antiviolenza per vittime di stalking:

La violenza denunciata dalle donne non è solo fisica, ma anche psicologica. Rispetto agli anni passati, però, sta aumentando il numero di vittime che decide spontaneamente di rivolgersi ai centri di sostegno per ricevere aiuto e specifiche consulenze. Il vero dato preoccupante, tuttavia, è un altro.
Come sostengono a gran voce gli esperti, il ruolo e la presenza di questi centri antiviolenza sono fondamentali. Si tratta infatti di associazioni radicate sul territorio che forniscono supporto a tutte quelle donne che subiscono violenza ed episodi di stalking e che necessitano di un aiuto specializzato per uscire dai loro problemi. Questi stessi centri, appunto la vera e concreta risorsa di aiuto alle vittime, sono attualmente alle prese con grandi difficoltà relative al reperimento delle risorse economiche, indispensabili per la loro sopravvivenza e la loro operatività.

Senza fondi i centri chiudono:

Per mancanza di fondi e finanziamenti molti di questi centri stanno infatti chiudendo: alcuni di essi hanno già sospeso la loro attività. È il caso di organizzazioni non profit come il Centro Antiviolenza Thamaia di Catania, o dell’unico centro che era presente in Umbria e chiamato “Barbara Cicioni”, aperto a Marzo 2009 e ora costretto a chiudere per mancanza di risorse economiche.
È anche il caso di tutti i centri antiviolenza che stanno chiudendo in Calabria, come rivela l’associazione Donna Giustizia di Ferrara. Allo stesso modo anche i centri antiviolenza del Friuli Venezia Giulia lamentano un’evidente riduzione dei finanziamenti. Senza un vero supporto esterno, atto a coinvolgere le vittime, i presidi sanitari, sociali e le forze dell’ordine, qualsiasi legge pensata per contrastare la violenza di genere risulterebbe inefficace.

Piano nazionale antiviolenza e soldi che mancano:

A denunciare l’immobilismo delle istituzioni, che va dal parlamento alle amministrazioni locali, è infatti Alessandra Bagnara, presidente nazionale della storica associazione Dire, che raccoglie 57 centri-antiviolenza e 35 case rifugio in tutta Italia, una rete che solo nel 2009 ha accolto 12 mila donne in difficoltà:
«i maltrattamenti, lo stalking e gli omicidi di cui sono vittime le donne sono ormai un bollettino di guerra, ma di quei soldi ipotizzati dalla legge per il Piano Nazionale contro la violenza alle donne non c’è traccia. Il ministro Mara Carfagna ci ha assicurato che i fondi c’erano: invece sono scomparsi».
Nel 2009, per il suddetto Piano Nazionale, era stato stanziato un fondo di 20 milioni di euro, ma di questi il governo ne ha utilizzati attualmente solo due. A tal proposito pochi giorni fa sono state chieste spiegazioni tramite un’interrogazione parlamentare dell’opposizione alle quali il ministro Carfagna non ha fornito alcuna spiegazione, come affermano le deputate del Pd Sesa Amici e Anna Rossomando (Stalking: una domanda al ministro Mara Carfagna).

Una legge generica e imprecisa:

Il silenzio dimostra la probabile inadeguatezza del ministro al suo ruolo, mentre le risorse non utilizzate indicano la sottovalutazione del problema da parte di un governo che ritiene infatti la nuova legge sullo stalking un successo. Eppure, come constatato, a più di un anno dall’approvazione della legge le denunce di donne che subiscono violenze o che vengono perseguitate sono aumentate, come dicono le statistiche.
Quale logica guidi il ragionamento di Mara Carfagna circa l’interpretazione di questi dati continua, quindi, ad apparirci incomprensibile. Tali numeri, infatti, sarebbero da intendere più come un fallimento dell’esecutivo che come un suo successo, anche a fronte del crescente uso strumentale che viene fatto della legge sullo stalking a causa della sua estrema genericità e imprecisione.
Come sostengono tutte le associazioni presenti sul territorio, alle donne occorre tutela, supporto e protezione. Oltre a questo anche qualche legge incisiva in materia di stalking, di certo, non guasterebbe.

Pubblicato in Inchieste

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Nata a Roma nel 1984. Laureata in Lettere. Blogger e collaboratrice giornalistica

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