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Stuprata, abbandonata da Stato e centri antiviolenza donne

Essere stuprata dal proprio ex compagno e ritrovarsi abbandonata da tutti: anche da chi avrebbe quale funzione principale quella di aiutare ragazze che subiscono episodi di questo tipo (come le associazioni per difendere donne vittime di violenza); o quella di dover garantire la giustizia (lo Stato, in tutte le sue ramificazioni).
Siamo in Italia e non ci si sorprende più di niente; certo è che una storia come quella che stiamo per raccontare ha un qualcosa di terribilmente illogico. Perchè se subire una violenza sessuale può distruggere la vita di una donna, dover affrontare, dopo uno stupro, un percorso ancora più pesante e scontrarsi frontalmente con alcune ‘dinamiche’ che non possono essere sovvertite porta un ulteriore senso di impotenza.

Violentata dal suo ex compagno: si convince a denunciare

Siamo in Emilia Romagna, in una delle città più importanti che eviteremo di indicare per non esporre a potenziali rischi la vittima di questa storia; che infatti chiameremo con un nome di fantasia, Maria. La incontriamo e le chiediamo di raccontarci la sua storia.
Sono una ragazza di 27 anni. Circa un anno fa il ragazzo con cui ero fidanzata da quattro anni mi ha violentata. All’inizio è stato difficile anche solo capirlo, ammetterlo. Poi quando ci sono riuscita ho deciso di sporre denuncia.
Il tutto è avvenuto dopo che Maria si era recata al Pronto Soccorso, qualche ora dopo l’accaduto, e le era stato refertato un danno effettivo dovuto a lesioni; ma comunque con una prognosi inferiore a quella per la quale scatta la denuncia automatica per violenza da parte del Pronto Soccorso stesso.
Lei rientrava in una prognosi tale da poter decidere se far partire in automatico la denuncia tramite Pronto Soccorso oppure no. E inizialmente decide di non farlo, essendo passate poche ore e trovandosi, più che comprensibilmente, in stato confusionale.
Fare un passo così grande richiede molta forza e fiducia; qualità che Maria trova qualche settimana dopo, a mente un po’ più fredda, quando decide di denunciare l’accaduto. E si ritrova da subito ad essere sola.
Avevo la mia famiglia contro, sfiduciata da una giustizia che secondo loro non mi avrebbe dato nulla se non problemi; e costretta da una mentalità chiusa tipica della zona da dove provengo. Ho deciso quindi di provare a rivolgermi alle associazioni presenti in Emilia per chiedere aiuto.”

Non può permettersi l’avvocato, si rivolge ad un centro antiviolenza

Maria fa qui riferimento alle tante associazioni che, fortunatamente, sono presenti sul territorio italiano; e che si occupano di aiutare donne che subiscono violenza. I cosiddetti centri antiviolenza; che spesso come avevamo certificato, ricevono pochi fondi e sono costretti a chiudere. E che proprio in queste settimane stanno chiedendo più fondi pubblici per offrire a donne vittime di violenza servizi che dovrebbero (il condizionale è obbligatorio) essere gratuiti. E, soprattutto, dovrebbero (ancor più d’obbligo il condizionale) cercare di essere il più possibile efficaci.

“Credevo che l’unico modo per tornare alla vita fosse ottenere giustizia ma non ero in possesso di fondi sufficienti per permettermi un avvocato. Così ho pensato di rivolgermi a queste associazioni.”

E qui Maria si scontra con la dura realtà di questi centri antiviolenza; perché, come lei stessa ci spiega, si aspettava di trovare accoglienza diversa.

”La prima associazione alla quale mi sono rivolta mi ha messo in contatto con due avvocatesse che mi hanno chiesto 2.500 euro solo per arrivare all’udienza preliminare. Quindi mi sono rivolta ad un’altra associazione che si è offerta di coprire le mie spese legali e di fornirmi un avvocato. Ero contentissima. Finalmente avevo qualcuno che mi difendeva e che avrebbe fatto sentire la mia voce.”

Cosa sono i centri antiviolenza per donne stuprate?

I centri antiviolenza per donne sono organizzazioni e strutture che offrono supporto e assistenza alle donne vittime di violenza di genere. Questi centri sono nati con l’obiettivo di fornire un luogo sicuro dove le donne possono rivolgersi per ottenere aiuto, informazioni e sostegno emotivo. Quando i centri antiviolenza per donne sono nati in Italia, hanno iniziato a offrire una serie di servizi per rispondere alle esigenze delle vittime di violenza di genere, tra i servizi offerti dai centri antivolenza donne ci sono supporto e consulenza legale, supporto psicologico, sensibilizzazione e prevenzione.

La promessa di ottenere giustizia da parte dell’avvocato del centro antiviolenza

Un momento ovviamente di grande euforia che, purtroppo, dura poco. Maria a poco a poco prende coscienza della realtà; e capisce cosa sta succedendo.

“Le cose sono andate in maniera molto diversa da quella che immaginavo. All’inizio mi avevano assicurato una difesa completa, mi hanno parlato di loro conoscenze di magistrati e poliziotti e che avrebbero fatto in modo che quella persona non dovesse essere più presente nel mio raggio d’azione. Poi c’è stata la controffensiva da parte del mio ex che ha provato ad infangarmi pur di difendersi. Ha messo su una storia insensata pur di farmi passare per pazza, cattiva. Per far passare se stesso come l’uomo innamorato e me come una vedova nera.”

In sostanza il suo ex, sostenuto da un altro avvocato, sicuramente molto ‘addentro al mestiere’, cerca di far mettere in piedi una storia parallela che faccia ricadere la colpa su di lei.

“Al primo interrogatorio l’avvocato era presente, mi disse di aver studiato tutte le prove e carte alla mano –lo cito testualmente- mi assicurò che ‘lo avremmo fatto nero’. Che si sarebbe messo in contatto con il Pm e che lo avremmo anche denunciato per diffamazione per via delle falsità che si era inventato per screditarmi.”

Centro antiviolenza donne, assistenza gratuita: ma l’avvocato non c’è mai stato

Queste le promesse dell’avvocato della associazione che le aveva offerto patrocinio gratuito. Ma nel concreto, cosa è successo?

“La verità è che da quel giorno l’avvocato è sempre stato meno presente. Frattanto tutti i miei amici venivano interrogati, la mia famiglia, compreso mio padre malato che è stato portato in questura per farsi ore e ore di interrogatorio. Mia madre ha dovuto descrivere parola per parola come fosse avvenuto lo stupro, come se questo potesse aiutare le indagini. Quando io contattavo il mio avvocato per delucidazioni, tutto quello che mi sentivo dire era ‘Dovete dire tutti la verità, andate lì e dite la verità.’ Questa era la sua brillante strategia difensiva.”

In sostanza sembrerebbe che l’avvocato che le ha fornito assistenza gratuita tramite associazione (ricordiamo che queste associazioni per fornire tali servizi prendono spesso e volentieri fondi pubblici, al netto delle tante difficoltà che vi sono in questo momento e delle quali abbiamo ampiamente parlato), non ci sia mai stato.

“Non ha mai parlato con quel famoso Pm, non mi ha mai dato novità, delucidazioni, idee. In una parola sola, non c’è stato. Molto semplicemente. E’ stata addirittura interrogata la psicologa del centro antiviolenza che mi aveva preso sotto la sua ala protettrice. Le è stata richiesta una mia perizia psichiatrica sotto interrogatorio, cosa ovviamente illegale. Lei rispose: ‘signori la violenza c’è stata. Quanto e se lei lo abbia provocato in precedenza non lo so dire; ma lo stupro c’è stato’.”

Convocata dal Pm che la lascia sola con il suo stupratore

Fin qui le mancanze dell’associzione che avrebbe dovuto affiancare Maria. Ma la parte più paradossale e, per certi versi, demenziale della storia, deve ancora arrivare. Ed entra qui in scena la giustizia. Perché mentre le indagini proseguivano, dalla procura prendono una decisione.

“Un bel giorno dal nulla vengo informata che io e il mio avvocato dobbiamo presentarci in procura. Chiedo spiegazioni all’avvocato e lui mi dice che non ha la più pallida idea del perché il Pm voglia parlare con noi. Quando entro nella sala d’attesa mi ritrovo letteralmente faccia a faccia con il mio stupratore. Cosa che non sapevo. Era stato convocato anche lui assieme al suo avvocato donna, che giuro non capirò mai come abbia fatto, umanamente, a difenderlo.”

E qui si assiste ad un altro colpo di genio; stavolta della giustizia italiana. “Gli avvocati sono stati chiamati dentro ed io e il mio ex ragazzo siamo stati lasciati da soli per quasi un’ora.”
Quindi, per sintetizzare, la potenziale (in quanto ancora non accertato definitivamente dalla giustizia) vittima e il potenziale stupratore vengono lasciati faccia a faccia, per un’ora. Cosa che dopo il fattaccio non era più successa e che, come facilmente immaginabile, ha gettato un peso psicologico enorme sulle spalle di Maria. E il Pm?

“Tutto quello che il Pm ci ha tenuto a dire quando ci ha lasciati soli in sala d’aspetto è stato: ‘Mi raccomando ragazzi almeno in questa occasione nessun contatto’ (mai frase fu più infelice, ndr). Io ero letteralmente scioccata.”

’Oggettivamente violentata’: ma deve firmare la rinuncia

Tutto finito? Non ancora. Di brutte sorprese in questa storia ce ne sono ancora. E ovviamente tutte per Maria.
“Una volta uscito il mio avvocato mi ha preso da parte e con una buona dose di paternalismo mi ha informata che il Pm aveva decretato di non avere abbastanza prove per sostenere un processo. Sono entrata in stanza e quello che è successo dopo non lo dimenticherò mai. Il Pm in questione mi ha detto testuali frasi: ‘sei stata oggettivamente violentata, ma io non posso dimostrarlo. Era passato troppo poco tempo da quando tu lo hai provocato a quando lui ha compiuto la violenza’.”
Quindi, il triste epilogo: l’avvocato prende Maria da parte e le confida che la cosa migliore da fare è quella di firmare una sorta di rinuncia ad andare avanti; alla faccia del ‘lo facciamo nero’.

Consigliata dall’avvocato a ritirare la denuncia

Come precisazione va detto che in Italia la norma sul femminicidio prevede un iter particolare per ritirare una denuncia di violenza sessuale. Per garantire la potenziale stuprata ed assicurarsi che un’eventuale revoca sia assolutamente spontanea, non causata da pressioni o intimidazioni esterne, la vittima può chiedere di revocare la querela ma è soltanto il giudice a vagliare la richiesta.
Come è accaduto nel caso di Maria, cui è stato consigliato dal suo avvocato di firmare la revoca della denuncia davanti al Pm; e che dovrà ora attendere che il Gip faccia la sue verifiche per decidere se andare avanti o meno.

Il ruolo, inutile, dell’avvocato fornito dalla Associazione antiviolenza

Nel frattempo lei ha firmato la rinuncia su consiglio del suo avvocato; l’unica cosa di concreto che, a conti fatti, quest’ultimo (l’avvocato dell’associazione anti violenza) avrebbe fatto per lei in tanti mesi. Anche il suo ex, la persona accusata di stupro e che nel frattempo aveva montato una strategia difensiva basata su una controdenuncia per calunnie, firma la rinuncia ad andare avanti. Tutto finito qui, per ora. Come si è sentita Maria?
“Mi sono asciugata le lacrime e sono riuscita in sala d’attesa dove c’era ancora il mio ex. L’unica cosa che mi sono ripromessa è di non smettere di combattere. Viviamo in un sistema malato che spero non lo sia per sempre.”

Centri antiviolenza, più donne seguono e più rimborsi hanno.

Questa la storia tremenda e per certi versi incredibile che abbiamo raccolto e che porta a qualche riflessione; abbiamo avuto modo di parlare con un avvocato privato, non legato ad alcun centro, ma che si occupa da sempre di difesa delle donne vittima di stupro. Il quale ci ha detto, volendo mantenere l’anomimato:

“Storie di questo genere se ne sentono di continuo. Purtroppo i centri antiviolenza donne ricevono fondi, che sono più elevati quante più donne seguono. Ecco allora che operano di conseguenza….”

Conviene affidarsi ad un centro antiviolenza in caso di stupro?

Traducendo noi quello che ha provato a dirci l’avvocato: un centro antiviolenza donne deve cercare di prednere più casi possibili per ottenere i rimborsi dallo Stato. Una volta preso il caso poi, può anche permettersi di tralasciare l’esito, non è troppo importante che la donna abbia o meno giustizia. L’importante potrebbe essere (discorso che non vale ovviamente per tutti i centri, ma per molti sì) soltanto ottenere il rimborso per il caso preso. La domanda da porsi in questi casi, quindi, è: conviene realmente affidarsi ad un centro antiviolenza nel caso in cui si subisca uno stupro?

Pubblicato in Inchieste

Scritto da

Giornalista indipendente, web writer, fondatore e direttore del giornale online La Vera Cronaca e del progetto Professione Scrittura

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