In questo articolo parliamo di:
I prestiti peer to peer
Peer to peer è il termine con il quale si indica la condivisione su uno spazio web di file tra più utenti; una rete paritaria, non gerarchizzata quindi, da pari a pari. Peer to peer per l’appunto.
Uno dei primi modelli di peer to peer è stato quello legato alla condivisione di musica: spazi nei quali chiunque poteva inserire file musicali dando la possibilità ad altri utenti da poterlo scaricare e facendo altrettanto con i file postati da altri.
Si è trattato di un successo non da poco anche se poi molte di queste piattaforme sono andate fuori legge per via della violazione del copyright. Per il momento questo non dovrebbe essere un problema per la piattaforme peer to peer di prestiti tra privati, o social lending, che stanno comparendo. Qui di copyright c’è ben poco. Si parla di soldi reali da prestare.
Prestarsi soldi senza intermediazione delle banche
Un modo per prestarsi soldi saltando l’intermediazione delle banche o dei tradizionali istituti finanziari andando così a generare un meccanismo alternativo al tradizionale iter dei soldi.
Se ne è parlato di recente su Lettera 43 mettendo in risalto il funzionamento di queste piattaforme e descrivendo il prestito peer to peer come uno strumento di finanza alternativa: o finanza creativa, come qualcuno ama dire.
Una forma di microcredito finalizzato a raccogliere finanziamenti da pari a pari, quindi tra utenti privati. I vantaggi di questa operazione? Saltare l’intermediazione delle banche e dei principali altri soggetti creditizi.
Quindi consentire all’utente finale di risparmiare qualcosa sul prestito richiesto; ed al privato che si offre come soggetto creditizio, di guadagnare.
Come funziona il prestito tra privati
Alla base del funzionamento del prestito tra privati o social lending, ovviamente, il web e la nota fintech, tecno finanza o tecnologia finanziaria. Ancora una volta la rete.
Non a caso alcuni chiamano questa forma di finanziamento ‘prestito sociale’ andando forse a confondere un po’ le acque con un termine usato e abusato dalla politica.
Qui l’appellativo ‘sociale’ si riferisce esclusivamente al fatto che per accedere questo strumenti di prestito si debba entrare a far parte di un community virtuale; un portale di utenti tramite il quale si incontrano domanda ed offerta di prestiti e finanziamenti.
Queste piattaforme virtuali vanno quindi a raccogliere fondi da soggetti privati che decidono liberamente di prestare denaro per un determinato fine; e ad un dato tasso. E lo vanno poi a smistare a soggetti che abbiano necessità di un prestito.
Tale forma di finanziamento social lending trova ampia attuazione soprattutto negli Stati Uniti, con due piattaforme in particolare a dividersi una gande fetta di mercato: Lending Club e Prosper.
Le piattaforme italiane di Social Lending
In Italia ovviamente il meccanismo stenta maggiormente a diffondersi. Vuoi per una mentalità conservatrice, vuoi per una maggiore resistenza ai cambiamenti, il nostro paese è un po’ indietro in termini di prestiti tra privati.
Tuttavia per chi volesse togliersi lo sfizio, le community italiane di prestiti tra privati maggiormente diffuse sono due: Zopa (Zone of Possible Agreement, ovvero Zona di possibile accordo) e Boober.
La prima prevede il pagamento di una somma fissa, l’1%, da parte degli utenti che decidano di prestare soldi e consente finanziamenti per attività di giusta causa.
Boober prevede la registrazione con diversi riferimenti da parte di chi voglia richiedere un prestito; il sito stesso va poi a stilare, come una agenzia di rating, un profilo di rischio dell’utente che va dalla tripla AAA per un pagatore sicuro; alla D per utente a rischio. Sulla base di questa valutazione, il soggetto che emette credito si può basare e ottiene un relativo interesse.
Si tratta comunque di due piattaforme che, non a caso, funzionano male: la prima riscontra spesso problemi di connessone e indirizza ad altri siti, anche spam; la seconda, mostra l’avviso “l’erogazione di nuovi prestiti da parte di Boober.it è sospesa a tempo indeterminato”.
Questo per sottolineare ancora una volta come il prestito tra privati in Italia non sia all’altezza di quanto avviene all’estero.
In Italia il prestito tra privati non decolla
E a certificare questa criticità, anche un recente articolo del Sole 24 Ore che ha evidenziato come in Italia per il social lending si investa mediamente 52 centesimi a persona; meno di una tazza di caffè.
Segno che gli italiani non credono troppo in questo strumento o quantomeno che il prestito tra privati non viene adeguatamente pubblicizzato. Se questa scarsa attenzione al social lending sia casuale o viceversa si possa ascrivere, secondo teorie complottistiche, ad una sorta di censura da parte delle lobby finanziarie e dei poteri forti bancari che non vogliono vedersi togliere il giocattolo, non è dato sapersi.
Certo è che se ne parla realmente poco con il risultato che questa forma di alternative finance, finanza alternativa, è in Italia per una nicchia ristrettissima. Il peer to peer lending, che va a sostituirsi alle banche nelle richieste di prestiti e finanziamenti, è ancora oggi uno strumento denso di ostacoli per chi volesse sperimentarlo.
Gli italiani prediligono altri strumenti
Impossibile immaginare che l’utente medio italiano in cerca di un prestito si rivolga a questa tipologia di finanziamento rivoluzionaria ed interamente virtuale anziché recarsi in banca o contattare una finanziaria. Gli italiani prediligono strumenti tradizionali di prestito, o al più metodi diffusi di recente come la cessione del quinto.
Risultato di questo, oggi il contributo dell’Italia al social lending o prestito tra privati che dir si voglia, è 1/10 di quello francese ad esempio; siamo quindi nettamente in ritardo. Anche per colpa di una normativa che non aiuta. E di un movimento che stenta a decollare.
Come proprio il malfunzionamento dei siti delle piattaforme italiane di prestiti tra privati dimostra: sarà sicuramente un caso. O forse no.