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Quell’ arsenale nucleare nascosto in Italia

Arsenale nucleare in Italia

Ben 70 ordigni nucleari sono custoditi in Italia nelle basi militari di Ghedi, nel bresciano, e di Aviano in provincia di Pordenone; una denuncia che arriva direttamente dalla Federation of American Scientists, organizzazione non-profit nata nel 1945 per volontà di scienziati del Progetto Manhattan.
La ricerca portata avanti dalla federazione degli scienziati americani documenta come in Italia vi sia il più alto numero di armi nucleari statunitensi schierate in Europa; su 180 totali, nel nostro paese ve ne sarebbero 70. L’ Italia è inoltre il solo paese ad avere due basi atomiche; quella dell’Aeronautica militare di Ghedi e quella statunitense di Aviano. Questi due fattori pesano in maniera sostanziale sulle spese del nostro paese e tale dispendio di soldi al momento appare piuttosto ingiustificato.
Gli ordigni nucleari arrivarono in Italia 50 anni fa anche se ufficialmente né il governo di Roma né quello di Washington hanno mai confermato la presenza di armi atomiche in Italia. Eppure il recente studio sulle armi nucleari presentato dal Nuclear Information Projet della Federation of American Scientists con sede proprio a Washington descrive tutta un’altra realtà e parla di ‘arsenale nucleare in Italia’.

Armi nucleari Usa in Italia durante la Guerra Fredda

Tutto ebbe inizio nel 1963, mese di dicembre, quando una partita di testate nucleari statunitensi arrivò nella base di Ghedi, in provincia di Brescia. Un supporto italiano alla potenza Usa in fatto di atomico; un connubio che ha da poco tagliato il traguardo dei 50 anni e al quale si è voluto rendere omaggio con una targa commemorativa.
Nella quale, è bene dirlo, si parla di ‘missione Nato’ e si tessono le lodi delle armi nucleari ‘per aver protetto le nazioni libere del mondo’ ma non si fa riferimento alcuno all’eventuale presenza dell’ arsenale nucleare nelle basi italiane.
Secondo la Federation of American Scientists oggi, a 50 anni da quell’avvenimento, l’aeronautica Usa conserverebbe ancora le testate nucleari presso le basi italiane. E se ai tempi della Guerra Fredda questa ‘precauzione’ poteva essere giustificabile, ad oggi appare un semplice spreco di soldi. Oltre che un potenziale rischio.
La consegna di queste bombe, avvenuta 50 anni fa, non sarebbe comunque la sola; durante la Guerra Fredda furono inviati in Italia diversi arsenali nucleari per sicurezza; tutti questi armamenti sono stati in seguito riportati in Usa per essere smantellati. Eccetto, per l’appunto, le testate arrivate 50 anni fa che sarebbero ancora presenti a Ghedi.
I rispettivi governi, quello italiano e quello statunitense, non confermano la presenza delle armi nucleari nella basi italiane ma secondo il rapporto della Federation of American Scientists vi sarebbero prove sufficienti a dimostrare la tesi.

Prove della presenza di testate nucleari in Italia

Le prove, o quantomeno i segnali di quanto sostenuto, sarebbero diverse; tra queste, la presenza del 704esimo Squadrone Munitions Support (squadrone per il supporto alle munizioni) che è un’unità della US Air Force comprendente oltre 130 militari con ha il compito di proteggere e mantenere operative le 20 bombe nucleari B-61 presenti nella base.
Il Munss, sempre secondo ricostruzione della Federation of American Scientists, non avrebbe motivi di presenziare presso la base se non per la presenza di armi nucleari. Vi sono infatti solo quattro unità Munss all’interno dell’aviazione militare Usa e sono tutte dislocate nelle quattro basi europee nelle quali vi sono armi nucleari.
Un’altra prova portata dalla Federation of American Scientists a supporto della propria tesi è la presenza di camion speciali Nato per la manutenzione delle armi; i noti Wmt (Nato Weapons Maintenance Trucks). Anche in questo caso, si sostiene che la Nato ha solo 12 di questi camion e che sono dislocati in prossimità di basi nucleari in Europa. Alcune immagini mostrerebbero la presenza di uno di questi camion nelle vicinanze della base militare di Ghedi.
Se la presenza di questi ordigni, eredità della Guerra Fredda, fosse effettiva, il nostro paese sarebbe di fronte ad alcune questioni piuttosto delicate. Come quello della spesa, cui si accennava sopra; la Federation of American Scientists non porta cifre esatte di quanto all’Italia costerebbe la presenza di questi ordigni. Tuttavia si fa riferimento ad una certa incidenza sulla spesa pubblica italiana, soprattutto in un periodo di crisi come quello attuale.

Rischi per la popolazione locale

Altro aspetto, forse ancora più delicato della spesa pubblica, è quello relativo alla sicurezza del nostro paese; fermo restando che l’intera questione è coperta da segreto militare, il rapporto della Federation of American Scientists sottolinea come, nel 1997, uno studio commissariato proprio dalla US Air Force mise in luce un potenziale rischio di esplosione nucleare in caso di abbattimento di un fulmine su un deposito contenente un ordigno in fase di smantellamento.
Si tratta di un’eventualità piuttosto remota, ma che comunque non lascerebbe dormire sonni tranquilli al punto che la Nato sta pianificando una graduale sostituzione dei camion speciali Wmt di cui sopra con altri veicoli più avanzati in grado di garantire maggiore protezione dai fulmini.
L’altra questione aperta che suscita interrogativi è quella della legittimità di questa eventuale presenza di testate nucleari nel nostro paese; l’Italia, così come gli Usa d’altra parte, ha firmato il Trattato di Non Proliferazione (TNP) sottoscritto il 1 luglio 1968. Questo trattato impone di “non ricevere armi nucleari o il controllo diretto o indiretto di esse da nessuno”.
Le armi in questione sono arrivate a Ghedi nel 1963, ovvero prima della firmadel trattato: tuttavia oggi è difficile far conciliare i presupposti sui quali quel trattato si basa con quanto avverrebbe nella base di Ghedi.


  1. http://fas.org/blogs/security/2014/06/ghedi/
  2. http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/07/01/news/ecco-le-bombe-nucleari-di-brescia-1.171372
Pubblicato in Inchieste

Scritto da

Giornalista scomodo - "L'unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede..."

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