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Cos’è il caporalato
Il caporalato è quel sistema che punta all’organizzazione del lavoro agricolo temporaneo, affidandone lo svolgimento a braccianti che vengono inseriti in squadre di lavoro la cui dimensione può variare da poche a diverse centinaia di persone. Un’organizzazione assolutamente illegale che porta ad una drastica compressione non solo delle retribuzioni, le quali possono arrivare a due euro all’ora, ma anche dei diritti minimi dei lavoratori interessati.
Per capire la gravità del fenomeno occorre come sempre rivolgersi alle cifre, che purtroppo non lasciano dubbi sulla sua vastità: considerato come ammonti a circa 5 miliardi di euro ogni anno quello che viene ormai denominato il business degli irregolari. Proprio l’irregolarità è la caratteristica principale di questa tipologia di lavoro, in quanto i datori di lavoro oltre a offrire stipendi da fame si guardano bene dal regolarizzare la posizione degli addetti ingaggiati tramite i caporali.
La figura del caporale
Il caporale rappresenta la figura chiave in questo processo produttivo, in quanto a lui viene affidato il compito di reperire lavoratori disposti a impegnarsi per stipendi irrisori e trasportarli sul luogo di lavoro. Se le campagne meridionali sono ormai il luogo privilegiato ove il caporalato è diffuso in maniera capillare, anche l’edilizia vede una massiccia presenza del caporalato, non solo nello stivale d’Italia.
Nel 2016 la politica ha cercato di dare un risposta al problema, dando vita ad un provvedimento, la legge 199, che ha recepito quanto disposto dall’articolo 603 bis del codice penale. Il testo liquidato dal Parlamento ha messo in campo una serie di sanzioni che dovrebbero andare a colpire sia i caporali che i datori di lavoro che ad essi si rivolgono.
La legge italiana contro il caporalato
Chi si macchia di questo reato può essere colpito da pene detentive che possono andare da un minimo di 1 sino ad un massimo di 6 anni, cui vanno aggiunte le sanzioni pecuniarie, che possono arrivare sino a 1.000 euro per ognuno dei lavoratori ingaggiati in questo modo.
Ove poi l’autorità di pubblica sicurezza riesca ad individuare la presenza di minacce e violenza, scatta l’aggravante, che può portare le pene detentive a salire dai cinque agli otto anni e le multe a raddoppiare. Inoltre i responsabili possono vedersi confiscati risorse finanziarie e altri beni, oltre a poter essere oggetto di fermo ove il reato venga reiterato.
Il risultato dell’attività ispettiva messa in campo per contrastare il caporalato, ha avuto nel corso dl 2017 un riscontro che sembra non lasciare alcun dubbio sulla capillarità del fenomeno.
Aziende italiane che fanno ricorso a lavoro nero
Ammonta addirittura al 50% la percentuale di aziende agricole controllate che si avvalgono di lavoro nero, confermando come il caporalato sia ormai una caratteristica dell’economia agricola meridionale. Va anche sottolineato come il fenomeno abbia continuato a prosperare praticamente indisturbato proprio a causa dell’evidente inefficienza delle azioni di contrasto portate avanti dalle autorità.
Se infatti sono stati intensificati i controlli lungo le arterie trafficate dai caporali, essi avvengono in una fascia oraria, tra le 7 e le 13, nel corso della quale i mezzi di trasporto utilizzati hanno ormai raggiunto i luoghi dove i lavoratori irregolari prestano la loro opera in condizioni spesso disumane.
Come migliorare la legge sul caporalato
La polemica politica che è subito scattata, dopo i due incidenti di Foggia, è andata a concentrarsi proprio sulle evidenti inefficienze nell’opera di repressione del caporalato e sulle zone d’ombra lasciate dalla legge del 2016.
Sono stati in particolare il Ministro dell’Interno Salvini, e il suo collega dell’Agricoltura Centinaio a pronunciarsi per una ulteriore stretta in grado di dare risultati migliori di quelli ottenuti sinora. Mentre il Partito Democratico, per bocca del reggente Martina, ha dal suo canto chiesto che venga posto un argine definitivo al fenomeno.