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Quartaccio. quartiere fantasma e baracche abusive
Più che un paese, però, il Quartaccio sembra una tana. Le saracinesche dei negozi sono quasi tutte abbassate e le persiane delle case sono per la maggior parte chiuse, tanto che potrebbe sembrare davvero un quartiere fantasma.
La presenza delle persone, però, è tradita dai panni stesi sui terrazzi, dalle macchine parcheggiate lungo i marciapiedi e dalle tante scritte che si rincorrono sui muri e che rimandano a concetti contraddittori: “Federica ti amo”, “Vale e Lele”, “un anno insieme”: messaggi e dediche che nascono dai sentimenti privati, ma che poi lasciano il posto con la stessa spontaneità all’intolleranza, al razzismo e al pregiudizio. Dalle saracinesche abbassate, infatti, colano a ripetizione frasi razziste: “rumeno trema”, “rumeni bruciati”, “difendi il quartiere”.
Emilio, un ragazzo che vive qui da 1988, ci spiega che “dietro alle case popolari ci sono una serie di baracche abusive abitate da zingari e rumeni. L’anno scorso è stata stuprata una donna al capolinea del 916, all’inizio di via Andersen, e allora sono venuti a smantellarle dato che si incolparono subito loro. Gli stranieri inizialmente se ne sono andati, dopo poco però li abbiamo visti tornare e oggi vivono ancora qui”.
Gli immigrati vengono sentiti come intrusi e non sono una presenza gradita. “Alemanno venne nel quartiere a giugno del 2009, si presentò scortato dicendo che si sarebbe occupato personalmente di tutti i problemi della zona, ma non ha fatto mai niente”.
Mancano illuminazione, scuole e pulizia
Ad essere complice della violenza è stata molto probabilmente anche la scarsa illuminazione: i lampioni sono presenti solo sulla strada principale, ma in certi tratti mancano completamente. Le quattro telecamere installate nel punto dove è avvenuto lo stupro, perciò, hanno molto il sapore della classica “toppa” messa in fretta e furia per non “sfigurare”.
In ogni caso questo non è l’unico problema ad essere rimasto al buio: “oltre all’illuminazione mancano moltissime altre cose, ad esempio non ci sono i licei”, continua Emilio, “e la maggior parte dei giovani che vive qui passa il tempo nella bisca. La delinquenza nel tempo si è calmata tanto, ma comunque in una bisca si sa quello che succede: i ragazzi diventano irrequieti quando non hanno qualcosa da fare”.
Un problema che invece è palesemente visibile è quello della spazzatura: alcuni cassonetti sono strapieni, c’è perfino un divano abbandonato accanto a un mobile rotto. Le strade sono sporche e “giuro che i marciapiedi li vengono a pulire ogni due anni”, ci spiega in uno sfogo Gianni, che al Quartaccio ha un negozio di casalinghi, l’unico esercizio commerciale aperto accanto a una fila di saracinesche abbassate.
Alcuni negozi sono diventati case:
“in alcuni negozi ci hanno fatto delle case. Io ci vorrei parlare con Alemanno, gli vorrei dire di farsi un giro qui per rendersi conto di quali sono i veri problemi di questo posto. Io sto qui da 10 anni e le cose le so. Hanno riempito la zona di quei centri commerciali al ribasso, ma che ci dobbiamo fare?
Non parliamo della storia delle chiese: qua mancano altre cose. Il Comune stava costruendo un asilo nido qui sopra, ma poi non è stato nemmeno finito. La delinquenza è la leggenda che si vuole usare per incolpare gli abitanti dei problemi del quartiere. Forse dieci anni fa c’era, è vero, però c’era anche il lavoro. Ora non c’è quasi più delinquenza, ma non c’è nemmeno lavoro. I ragazzi del Quartaccio non sono violenti, hanno solo una vita più difficile.”
Strade intitolate a letterati
Dietro al negozio di Gianni c’è una chiesa, ma ci viene spiegato che non è frequentata affatto dagli abitanti della zona e infatti è chiusa, non è possibile nemmeno visitarne l’interno. “Alemanno si pensa che se riempie le periferie di chiese risolve i problemi? La verità è che non gliene frega niente a nessuno.”
Il perimetro del Quartaccio è circondato da vie che portano i nomi di illustri letterati e scrittori del passato, quasi una coincidenza che simboleggia l’importanza del racconto, della parola che mantiene in vita realtà che altrimenti verrebbero dimenticate. Un’impressione confermata amaramente dalle parole di Gianni: “qui il problema più grande è la sensazione di essere dimenticati dal mondo”.
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