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Lavoro e mestieri creativi: il copywriter

C’era una volta il dialogo perfetto, nel quale ad una domanda certa (“che lavoro fai?”) seguiva una risposta semplice ed inequivocabile (“l’avvocato, il postino, il calzolaio”). Bello il mondo delle favole: rassicurante, lineare, compiuto.
Diverso è il mondo reale contemporaneo, nel quale ad una domanda generica (“di cosa ti occupi?”) fa seguito una risposta ancor più indefinita (gli esempi sarebbero tanti, troppi). Conseguenza della new economy, del new jobbing, del new thinking. Bello l’inglese. E utile, soprattutto se serve a celare le magagne di un sistema, quello del lavoro, che non funziona. Essere creativi e non choosy, questo è il mantra. E se la creatività si sposa con la concretezza (dal momento che, come dice l’ex ministro Tremonti, “con la cultura non si mangia”) lo scoglio maggiore è superato.
Cosa c’è di più concreto dei consumi? Niente. Persone che escono di casa, entrano in un negozio, valutano il rapporto qualità/prezzo di un prodotto ed escono soddisfatte (o pentite) con una busta in mano. Quindi la pubblicità è il futuro; punto di partenza stabilito.

Il lavoro del copywriter

La pubblicità, che è una e trina in quanto anima del commercio, motore dell’economia e risorsa del lavoro, poggia su una figura professionale qualificata e temeraria. L’ostacolo più ostico? Spiegare le proprie mansioni a tutti, genitori e addetti ai lavori “old style” compresi. Il rischio, sempre incombente, è di apparire come un organismo modificato geneticamente, nel quale siano stati inseriti ormoni prelevati dalla gentaglia della peggior specie (bamboccioni, fannulloni, lavativi, fricchettoni).
Superato questo tabù, il professionista è messo nelle condizioni di svolgere nel migliore dei modi il proprio lavoro. E di poter affermare con orgoglio di essere un copywriter. Altrimenti detto, un redattore pubblicitario.
Il copywriter si occupa della redazione dei testi promozionali: annunci stampa, locandine, radiocomunicati, telecomunicati. Il suo habitat è l’agenzia pubblicitaria e vive simbioticamente con l’art director, specializzato nello sviluppo della parte visuale, grafica e tipografica della comunicazione pubblicitaria. Insieme formano la coppia creativa, coordinata da un direttore (creativo anche lui), nella maggior parte dei casi un copywriter o un art director più esperto.

Il mondo della pubblicità

Il copyrwriter rappresenta soltanto una delle tessere che compongono il puzzle dell’agenzia di pubblicità, in qualità di dipendente o di free-lance. Ma non è univoca, dal momento che sintetizza competenze diverse: elabora idee creative sulla base di una predefinita strategia (predisposta dal reparto strategico o dal reparto account) ma, all’occorrenza, formula direttamente la proposta strategica sulla base del brief (informazioni complessive) del cliente.
L’importante nel lavoro del copywriter è non perdere mai di vista il concept, ossia l’idea peculiare e innovativa in grado di esaltare il prodotto (in considerazione delle richieste contenute nel brief e del medium considerato più idoneo per il raggiungimento del pubblico di riferimento).

Cosa deve fare un redattore pubblicitario?

Appare evidente che quello del copyrwriter o redattore pubblicitario sia un mestiere che implica decisioni mirate e responsabili, che tengano conto non soltanto dell’ispirazione artistica, ma anche della linea imposta (o suggerita) dall’agenzia e delle aspettative del committente. Il quale, forte del ruolo preminente assicuratogli dalla sovvenzione del lavoro, ha la facoltà di influenzare le operazioni, quale terzo vertice del triangolo che si nasconde dietro i volti rassicuranti delle campagne pubblicitarie.
Ma non finisce qui. Interprete e allo stesso tempo mediatore di interessi diversi, al Mario Monti della pubblicità spetta anche il dicastero dell’economia (delle parole). Nelle sabbie mobili dei “consigli per gli acquisti”, il copywriter nel suo lavoro deve evitare di sprofondare nell’indifferenza, nella banalità, nell’autocelebrazione e nella genericità.

Identikit del bravo copywriter:

Basta poco per trascendere dal tormentone all’incubo. E’ sufficiente una scelta sbagliata per trasformare uno spot in un boomerang. Come affermato da Peter Barry, “la pubblicità si basa sulla comunicazione. E non importa che sia fatta di immagini o di parole purché sia semplice [..] pensate al vostro lavoro non come a quello di chi scrive parole, ma di chi le evita. Non state scrivendo un romanzo o un poema”.
Dire molto con poco: è questa la regola d’oro da non dimenticare. Nella redazione dei comunicati stampa, nei dialoghi degli spot pubblicitari, nell’ideazione degli slogan, nei testi dei discorsi recitati da politici ed imprenditori. Infatti, negli ultimi tempi l’evoluzione ha avvicinato la specie del copywriter a quella dello spin doctor (nata negli Stati Uniti quale ulteriore figura professionale di non immediata definizione).

Dimestichezza con il linguaggio 2.0

Inutile dirlo, la brevità è una caratteristica del linguaggio 2.0, nel quale sono privilegiati testi brevi, messaggi frammentati e a volte solo abbozzati, termini ed espressioni idiomatiche anglosassoni (secondo la direttiva: “taglia: puoi dire lo stesso con la metà delle parole”.)
L’identikit del bravo copywriter
riporta ad una persona acculturata, che conosca la grammatica delle lingue usate (il motivo è stato appena chiarito), che possegga il linguaggio specifico del settore da promuovere.
Ne consegue che nel curriculm vitae del bravo copywriter, sotto le voci che autocertificano le varie competenze e capacità (lavorative, relazionali, organizzative, tecniche ed artistiche), si dovrà menzionare esplicitamente la predisposizione alla comunicazione, al lavoro in team, alla gestione e all’organizzazione delle attività di gruppo, ma si dovrà fare riferimento anche alla naturale attitudine al buon gusto, a tutte le forme di espressione artistica e alla curiosità. La flessibilità non è richiesta. E’ scontata.

Pubblicato in Focus

Scritto da

La Vera Cronaca, giornale online libero e indipendente

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