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Nomadi digitali: chi sono e cosa serve per farlo in Italia

La proliferazione del web ha modificato radicalmente il mondo del lavoro, da tanti anni e ancora di più con l’avvento della pandemia di Covid. A partire da quella data alcuni concetti, come ad esempio smart working, sono iniziati ad essere ampiamente familiari a tutta la popolazione. Molti lavori ora possono essere svolti da qualsiasi luogo con solo un laptop e una connessione wifi decente: un altro termine molto diffuso, partendo proprio da questo, è ‘nomadismo digitale’. Cosa si intende?

Cos’è il nomadismo digitale

Un nomade digitale è una persona che può lavorare da qualsiasi luogo, senza dipendere necessariamente dall’essere in un luogo particolare. I nomadi digitali possono essere liberi professionisti, appaltatori indipendenti o dipendenti. Non è necessariamente la stessa cosa di un lavoratore da remoto in quanto ci sono diverse varianti del lavoro a distanza, ma essenzialmente una figura di questo genere è limitato a un luogo particolare come la propria casa e spesso non è in grado di viaggiare in luoghi diversi poiché deve disporre di una connessione Internet sicura e affidabile.
D’altra parte, un nomade digitale può essere ovunque, purché disponga delle strutture necessarie per lavorare da remoto. Certamente un qualcosa che affascina, motivo per il quale è comprensibile che molti lavoratori vogliano diventare nomadi digitali partendo dai vantaggi come flessibilità e la capacità di vivere avventure ed esplorare nuovi posti mentre si lavora. Quali sono le regole da seguire per lavorare da remoto in Italia?

Nomade digitale: le regole per lavorare da remoto dall’Italia

Il lavoro a distanza, o anche solo il lavoro da casa, era quasi sconosciuto in Italia solo pochi anni fa, ma dopo la pandemia tutto è cambiato. In questi giorni è perfettamente possibile trovarsi fisicamente in Italia mentre si lavora da remoto per un’azienda con sede nel Regno Unito, negli Stati Uniti o altrove. Sempre più aziende in tutto il mondo sono aperte all’idea del lavoro a distanza e le connessioni Internet in Italia stanno (gradualmente) migliorando.
Quindi sembra più facile che mai trasferirsi all’estero e portare con sé il lavoro esistente o l’attività di freelance. Ma chiunque stia pensando di farlo dovrà anche tenere conto delle pratiche burocratiche: vale a dire residenza e permessi di lavoro e status fiscale. Le incombenze sono legate alla tipologia di lavoro ed al paese di provenienza.

Parametri da valutare e tassazione

Se si vuol vivere in Italia a lungo termine, piuttosto che solo di passaggio per un breve periodo, sarà necessario mettere in ordine alcuni documenti. Per i cittadini UE non servono un visto o un permesso di lavoro, ma un permesso di soggiorno italiano per soggiorni superiori a tre mesi. Se sui proviene da un paese che non beneficia della libertà di movimento dell’UE, si potrà usufruire della regola dei 90 giorni, il che significa che si potrà viaggiare in Italia senza visto per un massimo di 90 giorni su 180.
E per chi volesse rimanere più a lungo? Partiamo da un presupposto: le opzioni disponibili al momento non sono sempre praticabili per i liberi professionisti autonomi e i lavoratori a distanza dato che il visto per lavoro autonomo, permesso che la maggior parte dei liberi professionisti extracomunitari richiede quando cerca di trasferirsi in Italia per lavoro, è legato ad altre forme più tradizionali di occupazione.
Discorso tasse infine. Dove verranno versate? Di base se si vive in ​​Italia si pagano le tasse in Italia ed il reddito generato da lavoro, seppur in veste di nomade digitale, sarà soggetto all’imposta Irpef; il che non riguarda ovviamente chi si trovi in Italia per turismo, quindi per periodi brevi.

Pubblicato in Focus

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Scrittore, giornalista, ricercatore di verità - "Certe verità sono più pronti a dirle i matti che i savi..."

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