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La nascita della sociologia italiana
Gli uomini che crearono la sociologia italiana avevano un loro stile: spaziavano dal diritto alla statistica, dalla medicina alla filosofia precorrendo l’americano Harold Taylor, presidente del Sarah Lawrence College (1951), che sosteneva che occorresse “insegnare ai giovani in modi in cui si può comprendere il mondo moderno attraverso l’arte, la scienza, la letteratura, la storia, la filosofia o qualsiasi altra forma di conoscenza”.
Inoltre non sono mai stati cattedratici di sociologia, insegnavano la materia in seno ad altri corsi o per passione essendo benestanti, o anche in conferenze estemporanee. Come dice Ferrarotti non sono stati docenti vincitori di concorso per cattedre ordinarie di sociologia ma meteore o imposti dal fascismo per meriti speciali (i cosiddetti ex liberi docenti, scelti per competenze specifiche) quindi non hanno rappresentato “istituzioni” e non hanno formato discenti e scuole, cioè cupole simili alla mafia aggiungiamo noi.
Le indagini del Sociologo
Il loro interesse era per la neo-scienza non per il potere in seno all’istituzione università. Il secondo motivo di estromissione lo si deve all’empirismo delle ricerche importate dagli Usa: invece di cercare collegamenti e comparazioni con le altre scienze è stato più facile adottare le cosiddette ricerche sul campo: una bella indagine finanziata da qualche ente pubblico sulla periferia urbana di una città per constatare che dove c’è il degrado familiare c’e anche quello sociale e, ma guarda un po’, anche un alto tasso di povertà, analfabetismo e criminalità.
Tutte indagini fotocopia, diceva il nostro Marotta, che non contribuiscono alla “creatività”, caratteristica dei primi sociologi italiani, e mettono al riparo da eventuali critiche.
Sociologi italiani del ‘900 e compito della sociologia
Lo stile dei sociologi italiani, sino alla metà del Novecento studiato, copiato ed esaltato da sociologi di mezzo mondo, si è contraddistinto da un’osservazione a tutto campo intesa a rilevare tendenze e comparazioni tra l’aggregato umano (definito società) ed i fondamentali comportamenti storici con le relative ricadute economiche; oltre all’influenza dell’ambiente (storico, geografico, sanitario, ecc.) sui comportamenti e le aspirazioni dei popoli.
Solo per citare pochi nomi: Corrado Gini fondatore a Roma dell’insegnamento della sociologia ma più noto per gli studi sul coefficiente demografico, l’economista Vilfredo Pareto con il “Trattato di sociologia generale”, il criminologo Alfredo Niceforo, l’antropologo Livio Livi, Fausto Squillace autore nel 1905 del “Dizionario di Sociologia”, Camillo Pelizzi fondatore della “Rassegna italiana di Sociologia”, Renato Treves docente di filosofia del diritto e sociologia prima in Argentina e poi a Milano, Carlo Nardi-Greco autore nel 1906 di “Sociologia giuridica”, l’economista Francesco Vito direttore nel 1945 della “Rivista internazionale di Scienze sociali”, e tanti altri non escluso Michele Marotta.
Analizzare la società attraverso altre discipline
Sociologi per passione, uniti da un interesse polivalente che permetteva loro di analizzare la società attraverso altre discipline, quindi in modo asettico, scevro da indulgenze ideologiche o motivazioni carrieristiche. Ma, soprattutto, creativi e lontani da logiche spartitorie basate sull’opportunismo; studiosi concentrati sulla rilevazione dei fatti per metter in luce non pedisseque teorie ma la ripetitività degli eventi in analoghe situazioni: il metodo scientifico della sperimentazione applicato all’imprevedibilità dei comportamenti collettivi umani.
I veri eredi del fondatore della sociologia Auguste Comte che attraverso la “fisica sociale” intendeva studiare i fenomeni sociali come si studiano i fenomeni della natura, cioè attraverso “l’osservazione dei fatti” (Marotta) e la formulazione di leggi generali. Infatti attraverso l’evidenza delle costanti che regolano i fenomeni sociali è possibile fare previsioni, sarà compito poi dei politici modificarne l’andamento.
Ed è questo il nostro stile: individuare quelle che saranno le novità emergenti lasciando alla politica la realizzazione dei provvedimenti necessari.