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Italia ed immigrati: lo strano fenomeno del “razzista riluttante”

In diverse occasioni l’Italia è stato oggetto delle attenzioni internazionali per il cattivo trattamento riservato a immigrati e rifugiati; per restare sulla stretta attualità, un recente articolo uscito sul prestigioso quotidiano britannico “Financial Times” evidenzia come molti immigrati stiano lasciando il nostro paese sia per motivi legati alla crisi economica che stiamo attraversando, sia perchè l’Italia sarebbe, secondo molti stranieri, un paese razzista.
Questa tesi viene inevitabilmente confermata dal rapporto sull’Italia della Commissione Europea contro la discriminazione secondo il quale si è verificato un aumento di discorsi a stampo razzista in politica ed è un fatto comunemente noto che immigrati e Rom vengano collegati alla criminalità e vengano delineati come fonte di insicurezza facendo aumentare il clima di intolleranza.
Ma uno studio dimostra come le persone non devono essere categorizzate in base ad una dicotomia che vede opposti i cosiddetti “razzisti” ai “non razzisti” in quanto il discorso diventa molto più complesso: due studiosi, Gaertner e Dovidio, hanno portato alla luce risultati inaspettati, che potrebbero far dubitare anche di coloro che a gran voce professano la loro disapprovazione nei riguardi del razzismo.

Il Razzista riluttante e teoria di Patricia Devine:

I due autori hanno coniato il termine “Razzista riluttante”, una figura piuttosto ambigua in quanto, nonostante il razzista riluttante sia contro il sistema di ineguaglianza e discriminazione, prova sentimenti negativi a proposito del gruppo discriminato. Nel caso, gli immigrati. Questo individuo è preoccupato di manifestare un immagine di sé fondata su valori di tipo egualitario e anti razzisti ma, quando la struttura normativa è ambigua o crea conflitto, le componenti negative del razzista riluttante diventano facilmente osservabili.
Purtroppo i due autori non sono stati in grado di completare la loro teoria spiegando anche i cosiddetti margini di cambiamento e questa teoria rimarrebbe tutt’ora incompleta se non fosse stato per una giovane ricercatrice americana, Patricia Devine, che riprendi i temi dei due autori e ne sviluppa in modo più ampio ed esauriente le implicazioni.
La faccenda inizia a complicarsi quando la giovane studiosa spiega che i comportamenti si producono mediante due processi: automatici e controllati. Gli automatici danno risposte che si sviluppano tramite una ripetuta associazione in memoria e non sono evitabili per quanto l’individuo tenti di ignorarli mentre quelli controllati sono intenzionali e sono fondamentali quando l’individuo deve mettere in atto comportamenti consapevoli.

Il razzismo è un’abitudine:

Il razzismo ed i pregiudizi che ne derivano fanno parte di un processo automatico che, diventato un’abitudine consolidata, per essere cambiata richiede un’attenzione attiva del soggetto. L’individuo deve essere convinto che si tratti di una “cattiva abitudine” e di conseguenza deve operare sforzi volti a sostituirla.
Purtroppo buona parte degli stereotipi e dei pregiudizi che, come ci spiega Patricia Devine, diventano automatici, dipendono dal tipo di educazione che abbiamo avuto dall’infanzia che incide notevolmente nella nostra crescita e formazione, basti pensare alla famosissima frase “ Se non fai il bravo l’uomo nero ti porta via”.
In fondo, per nostra decisione o meno, siamo un po’ tutti dei “razzisti riluttanti” e dovremmo in qualche modo maturare questo lungo e difficoltoso processo di cambiamento.

 

Pubblicato in Focus

Scritto da

La Vera Cronaca, giornale online libero e indipendente

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