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La vicenda di Mafia Capitale
Nel dicembre 2014 Roma viene investita da uno scandalo senza precedenti. Massimo Carminati, il terrorista nero, e Salvatore Buzzi re delle cooperative rosse, vengono arrestati con l’accusa di essere al vertice di una associazione che avrebbe condizionato la politica della Capitale pilotandone gli appalti.
Il cosiddetto ‘mondo di mezzo’ a metà strada tra politica e criminalità per gestire le attività economiche di Roma e conquistare gli appalti pubblici facendo affari d’oro.
Accanto alle accuse di estorsione, turbativa d’asta, riciclaggio e corruzione, la Procura romana ravvisa, per alcuni dei protagonisti di quel malaffare, la presenza del reato di associazione di stampo mafioso ai sensi dell’articolo 416 bis del codice penale.
Accusa che secondo i giudici della Corte d’Assise di Roma, che l’hanno fatta decadere dopo due anni di maxi processo, non esiste. Condanne pesanti per i protagonisti di Mafia Capitale, ma non per 416 bis.
La nascita del 416 Bis nell’ordinamento italiano
Per comprendere fino in fondo il significato e il valore storico di uno degli articoli, il 416 bis, più citati nelle cronache giudiziarie, occorre partire dalla sua genesi.
La giurisprudenza italiana ha introdotto soltanto negli anni Settanta il concetto di criminalità organizzata, in seguito agli eventi di stampo terroristico che hanno interessato la nostra penisola. I confini del concetto di associazione a delinquere di stampo mafioso rimasero però incerti fino al 1982.
I giuristi erano divisi tra chi sosteneva che le cosche non fossero comprese nel concetto di criminalità organizzata e tra chi, invece, era convinto che l’identità mafiosa fosse ravvisabile nel concetto di organizzazione criminale.
Il perdurare dell’incertezza legislativa, il crollo storico delle misure di prevenzione e l’aumento delle stragi di stampo mafioso portarono il legislatore all’introduzione di nuove misure penali con l’approvazione della legge 13 settembre 1982 n. 646, la quale, all’articolo 416 bis, dava, per la prima volta, confini tangibili e concreti alle cosche mafiose.
Quando si può parlare di associazione di stampo mafioso?
Il primo passo compiuto dal 416 bis è definire in modo chiaro quando un’associazione a delinquere diventa di stampo mafioso. Il vincolo associativo tra i partecipanti (tre o più persone) deve avere una natura intimidatoria e devono essere ravvisabili vincoli di assoggettamento e omertà finalizzati alle attività tipiche della mafia: delitti, estorsioni, il controllo di appalti, concessioni e servizi pubblici.
A questo si aggiunge il controllo dell’attività politica esercitato ostacolando la libertà del voto, per favorire se stessi o altri candidati, secondo quanto integrato dalla legge Falcone-Borsellino 356/1992.
L’elenco di tali attività è tassativo perché sono il tratto distintivo necessario per distinguere l’associazione mafiosa delineata dal 41s bis, da un’organizzazione che abbia soltanto la finalità di delinquere. Basta la presenza di un solo requisito tra quelli elencati per parlare di mafia.
Chiunque faccia parte di un’associazione con tali caratteristiche viene punito con la reclusione da dieci a quindici anni. I vertici della cosca sono punibili invece con una pena che va dai dodici ai diciotto anni.
Finalità criminali e associazione armata
Il legislatore pone una pietra miliare nella punibilità delle cosche quando mette l’accento sulle finalità criminali dell’associazione. Un tassello utile per spostare l’attenzione dal crimine commesso al semplice intento delittuoso.
Non c’è bisogno di aspettare che venga commesso il fatto illecito. La nascita di tali organizzazioni, che hanno alla base finalità criminali, è già di per sé un pericolo per la collettività e va quindi sanzionato.
L’articolo 416 bis del codice penale consegna nei mani dei giudici anche la definizione dell’associazione armata. Per definirsi tale un’organizzazione deve possedere, anche in modo occulto, armi o materiale esplosivo da utilizzare per raggiungere le finalità criminali dell’intento associativo.
In questo caso le pene aumentano da dodici a venti anni nei casi previsti dal primo comma e da venti a ventisei nei casi previsti dal secondo comma.
Attività economiche finanziate con i proventi di reati
Molto importante è anche la parte relativa all’aumento della pena quando è ravvisabile la presenza di un’attività economica finanziata con i proventi di un reato. In questo caso la reclusione aumenta da un terzo alla metà rispetto a quanto previsto nei passi precedenti.
Colpire la mafia anche dal lato economico è stata un’esigenza fondamentale del legislatore, il quale ha previsto la confisca di tutto quello che è servito o è stato destinato a commettere il reato e la confisca dei beni, dei servizi, dei prodotti e dei profitti derivati dall’attività mafiosa.
Forza intimidatrice del vincolo associativo
La forza dell’articolo 416 bis è ravvisabile anche nel concetto stesso di mafia. La disposizione afferma che le norme citate vanno applicate ad associazioni come la camorra, la ‘ndrangheta e le organizzazioni anche straniere, le quali avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo si propongono di raggiungere finalità illecite.
Un reato che ha generato poi la nascita del 41bis, ovvero il regime di carcere duro riservato ad elementi ritenuti pericoloso in quanto appartenenti ad associazioni criminali.
Un’interpretazione moderna delle “mafie” dettata anche dai nuovi sbocchi internazionali, utilizzati dalle cosche per cercare nuovi profitti e fonti di guadagno che hanno comportato l’introduzione nel nostro paese di mafie e associazioni criminali provenienti da altri paesi.