In questo articolo parliamo di:
Morte celebrale e impossibilità di miglioramento
La legislazione italiana attuale in materia di espianto e donazione di organi, regolata dalla legge 578 del 29 dicembre 1993 (con le rispettive successive modifiche), prevede che per procedere all’espianto degli organi occorrano 6 ore di coma irreversibile[2] definito tale dall’assenza di attività dell’encefalo o anche per l’arresto del cuore da più di 20 minuti.
A stabilire la morte celebrale un equipe di medici composta da medico legale, anestesista-rianimatore, neurofisiopatologo. La questione non è quella di eliminare un tetto di ore di attesa (che prima era di 12 ore) che potrebbe portare magari false speranze a genitori, parenti e amici che desidererebbero solo vedere il proprio caro risvegliarsi, quanto trovare un parametro che sia realmente adeguato nello stabilire l’impossibilità di un miglioramento e procedere dunque all’atto di più grande generosità contemplato.
Non sono rari infatti i casi di persone che, date per spacciate, si sono risvegliate e tornate –anche con difficoltà– alla vita di sempre.
Persone date per spacciate che si risvegliano
È dell’ottobre scorso la storia di una ragazza danese che si è svegliata pochi istanti prima che i sanitari procedessero all’espianto dei suoi organi[3]. A questo proposito il prof. Dr. Massimo Bondì, L.D. Pat. Chir. e Prop. Clin. Univ. La Sapienza Roma, chirurgo generale e patologo generale afferma:
“La morte cerebrale è ascientifica, amorale e asociale” (Audizione Commissione sanità 1992), il Dr. Robert D. Truog, Dr. James C. Fackler, Harvard Medical School Boston: “Non è possibile accertare la cessazione irreversibile di tutte le funzioni del cervello con i mezzi clinico-strumentali attuali [Critical Care Medicine, n° 12, 1992, “Rethinking Brain Death” (Ripensamento sulla morte cerebrale) e il Prof. Peter Singer, Presidente dell’Associazione Internazionale di Bioetica: “…la morte cerebrale non è altro che una comoda finzione. Fu proposta e accettata perché rendeva possibile il procacciamento di organi” (Congresso di Cuba 1996)[4].
Legge su prelievi e trapianti di organi:
La questione inoltre ruota attorno al delicatissimo aspetto del fatto che il donatore durante l’intervento è ancora vivo, sottoposto a ventilazione forzata pur se viene indicato come donatore cadavere. Anche l’assenza di una adeguata informazione fa sì che ci si ritrovi ad essere tutti donatori.
La legge 91 del 1999 “Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti” in merito avevo previsto l’invio di raccomandate da parte della ASL sul rendersi disponibili o meno. La mancata risposta è considerata un silenzio assenso (art 4)[5], solo se vi è una esplicita dichiarazione di contrarietà o se parenti e coniugi si oppongono l’equipe medica ha le mani legate.
Il dibattito scientifico prese inizio nel 1968 durante la Commissione istituita presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Harvard presieduta da Henry Beecher, che presentò un documento con cui determinò un criterio di morte che sostituì quello precedente fondato sull’arresto cardiocircolatorio: la morte cerebrale, corrispondente dunque alla morte dell’individuo.
Cessazione delle funzioni dell’encefalo
Questi criteri sono alla base delle legislazioni di molti paesi e dunque alla base della legislazione in merito ai trapianti. Oltre ai problemi etici intorno a questa definizione esistevano le “questioni burocratiche” relative ad esempio alla condizione di vedovanza, al pagamento delle polizze assicurative.
Si stabilì l’encefalo come “organo dell’integrazione – nella concezione dell’essere come un tutto integrato – tanto che la cessazione irreversibile di tutte le sue funzioni si riteneva determinasse la perdita irrimediabile dell’integrazione dell’organismo e dunque la sua morte”[6].
Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi
Nel 1985 la Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore Battente dichiara inaccettabile la “morte cerebrale” e si costituisce in associazione per contrastare tale concetto. Sul loro sito si legge:
“La morte cerebrale viene dichiarata sempre (rare sono le eccezioni) nelle prime 24/48 ore dal ricovero di un paziente comatoso, in genere traumatizzato cranico, in un reparto di Rianimazione, durante le quali non si attua alcun tentativo serio ed efficace di terapia finalistica. La terapia è finalistica solo quando si oppone tempestivamente al processo patologico in atto. Senza una terapia mirata si instaura un progressivo deterioramento della corteccia cerebrale, rendendo difficile il recupero del paziente. Più il tempo passa più la sostanza grigia cerebrale, avida di ossigeno, perde la sua vitalità.
Quindi l’intervento chirurgico elettivo va sempre e comunque eseguito d’urgenza allo scopo di decomprimere il cervello. Il tempo in questi casi è prezioso e quindi andrebbe ripristinato l’intervento decompressivo presso gli ospedali di prima accoglienza. (…) Oggi, allo scopo di incrementare i trapianti, tali pazienti vengono avviati agli ospedali maggiori, più lontani, per cui sovente si superano i tempi ideali per il loro recupero. Così facendo però si salvano gli organi ad ogni costo.
La terapia finalistica non viene quasi mai attuata negli ospedali maggiori deputati al trapianto, poiché i neurochirurghi, pressati dalla richiesta di organi, sono consapevoli che salvare il paziente ad ogni costo può significare anche perderlo con l’atto chirurgico o durante il decorso post-operatorio, perdendo così i suoi organi”[7].
Terapia finalistica e ritorno del cervello alle proprie funzioni:
L’articolo spiega che con la terapia finalistica si possono aspirare pochi cc di liquido emorragico e ciò può essere sufficiente a decomprimere il cervello e farlo tornare alle sue funzioni (qualora le condizioni lo permettano). Il testo prosegue nelle spiegazioni dettagliate a seconda dei casi e prosegue
“Si perviene così alla convocazione della commissione medica che decreta, senza possibilità di obiezione di coscienza, una condizione di patologia che, rispondendo ai criteri imposti dallo Stato, è dichiarata irreversibile. Tutto ciò è conseguente alla mancata terapia d’urgenza. Tale dichiarazione pertanto rappresenta una condanna a morte annunciata e messa in atto d’autorità dopo un ridicolo periodo di osservazione di 6 ore che avvia il paziente all’espianto dei suoi organi”[8]
A latere del dibattito scientifico c’è il fatto che l’encefalo rimane ancora oggi l’organo più sconosciuto per definire lo stato di “coma irreversibile-morte cerebrale” che viene identificato con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo (L. 578/93). I numerosi risvegliati da questa condizione o anche da cuore fermo ne sono la testimonianza.
La cosa certa è che il concetto di fondo della professione medica è il principio di non maleficità (cioè non nuocere al paziente) deve stare davanti a tutto senza se e senza ma.
[1] https://trapianti.sanita.it/statistiche/home.asp?txtAnno=2013
[2] http://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1994-01-08&atto.codiceRedazionale=094G0004¤tPage=1
[3]http://www.ilmessaggero.it/primopiano/esteri/ragazza_danese_si_risveglia_dal_coma_poco_prima_delespianto_polemica/notizie/226826.shtml
[4] http://www.antipredazione.org/ “Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore Battente” Indirizzo: Pass Canonici Lateranensi, 22 – 24121 Bergamo (ITALIA), Tel. 035 -219255, Fax 035 – 235660, lega.nazionale@antipredazione.org sezione “Non ti hanno detto”
[5] http://www.parlamento.it/parlam/leggi/99091l.htm
[6] http://www.personaedanno.it/fine-vita/morte-cerebrale-e-trapianto-di-organi-rosangela-barcaro-e-paolo-becchi
[7] http://www.antipredazione.org/ indirizzo citato, sezione “scientifico”
[8] ibidem