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Calo dei consumi culturali
Stando ad esempio al Rapporto 2010 dell’Aie (l’Associazione Italiana Editori) relativo allo stato dell’editoria italiana, nel Paese si è verificato un calo generalizzato dei consumi culturali.
Gli indicatori connessi al mercato editoriale librario hanno evidenziato nel 2009 una diminuzione del giro d’affari pari al -4,3%, unitamente ad un calo del fatturato complessivo del mercato, che si attesta sui 3,4 miliardi di euro con una flessione del 4,3% rispetto al 2008.
L’andamento negativo della produzione riguarda tutti i settori editoriali: dai libri per bambini (-1,8% a titoli; -13,7% a copie) alla ‘varia’ adulti (-13,7% a titoli; -9,8% a copie) sino al settore educativo e scolastico (+1,2% a titoli, ma -5% a copie), quest’ultimo in calo probabilmente per l’accentuarsi dell’effetto della riforma scolastica, come si legge nel rapporto. È soprattutto il fenomeno degli ebook che si è consolidato ed è in crescita, insieme al mercato digitale e alle vendite on-line.
Solo il 44,9% degli italiani, tuttavia, legge fino a 3 libri all’anno e soltanto il 15,2% legge un libro al mese. Guardando all’Europa la differenza si fa sentire. Se in Italia il “popolo dei lettori” è pari ad un misero 38%, in Spagna la percentuale si attesta al 47,6, in Francia al 48,3, in Germania al 60,2 e in Gran Bretagna arriva al 63,7.
Il fatto più rilevante è che negli ultimi anni le differenze tra lettori, basate sul livello di istruzione e sulla classe socio-economica, si sono accentuate invece di ridursi. La recessione economico-finanziaria non dovrebbe essere sinonimo di crisi della cultura poiché, come sostengono molti illustri sociologi, mantenere in vita la creatività può contribuire ad uscire più facilmente dalla crisi, oltre a migliorare il livello della qualità della vita. Indagare i legami tra cultura e potere diventa allora decisamente interessante.
Gli investimenti per la conservazione del patrimonio culturale italiano sono tra i primi ad essere bloccati in caso di una situazione economica sfavorevole: questo avviene a partire dallo stesso circuito istituzionale che guida attualmente il Paese (come del resto dimostrano i pesanti tagli alla cultura nei settori dell’istruzione e della ricerca).
Una crisi destinata a diventare cronica
Si tratta cioè di azioni che, lo ripetiamo, a detta di molti non fanno che precludere la possibilità di un futuro sostenibile. I nostri politici saranno, praticamente, i fautori di una crisi che diventerà “cronica” se non si investirà sulla cultura: l’unico fattore che gioca un ruolo fondamentale per il superamento delle fasi critiche di una società, in quanto stimola la creatività facendo aumentare le possibilità di trovare soluzioni alternative e pragmatiche alle crisi e in grado di produrre i mutamenti negli stili di vita, nelle pratiche quotidiane e nei comportamenti dei singoli.
Forti di queste consapevolezze pensiamo ora ai nostri assessori alla cultura: tutto quanto appena detto non rappresenta forse molto di più di una ‘buona ragione’ per togliere le istituzioni culturali dalle mani dei politici e affidarle, come sarebbe opportuno, a dei veri intellettuali?