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Cultura: ecco come evitare il tracollo

Il vuoto culturale avvertito attualmente nel Paese è quotidianamente sotto gli occhi di molti lungimiranti e sconfortati italiani. Sorvolando sugli ormai rinomati contenuti mediocri offerti dai palinsesti televisivi, abbiamo provato ad osservare la questione da un altro punto di vista.
Recessione economica e crisi culturale non sono sinonimi: tuttavia al di là di apparenti perplessità sembrerebbero esserci alcune attinenze, nemmeno troppo azzardate.
Secondo il sociologo americano Richard Florida la creatività, intesa come ‘cultura’ in senso prettamente utilitaristico, acquista un importante valore economico nel momento in cui permette di sviluppare idee ed innovazioni competitive sul mercato.
Lo studioso sostiene cioè che investire nella cultura e nell’arte permette di accrescere la qualità del capitale sociale e, quindi, le potenzialità della cultura d’impresa. È esattamente questo tipo di investimento che, attualmente, risulta non essere particolarmente solido nel nostro Paese.

Calo dei consumi culturali

Stando ad esempio al Rapporto 2010 dell’Aie (l’Associazione Italiana Editori) relativo allo stato dell’editoria italiana, nel Paese si è verificato un calo generalizzato dei consumi culturali.
Gli indicatori connessi al mercato editoriale librario hanno evidenziato nel 2009 una diminuzione del giro d’affari pari al -4,3%, unitamente ad un calo del fatturato complessivo del mercato, che si attesta sui 3,4 miliardi di euro con una flessione del 4,3% rispetto al 2008.
L’andamento negativo della produzione riguarda tutti i settori editoriali: dai libri per bambini (-1,8% a titoli; -13,7% a copie) alla ‘varia’ adulti (-13,7% a titoli; -9,8% a copie) sino al settore educativo e scolastico (+1,2% a titoli, ma -5% a copie), quest’ultimo in calo probabilmente per l’accentuarsi dell’effetto della riforma scolastica, come si legge nel rapporto. È soprattutto il fenomeno degli ebook che si è consolidato ed è in crescita, insieme al mercato digitale e alle vendite on-line.
Solo il 44,9% degli italiani, tuttavia, legge fino a 3 libri all’anno e soltanto il 15,2% legge un libro al mese. Guardando all’Europa la differenza si fa sentire. Se in Italia il “popolo dei lettori” è pari ad un misero 38%, in Spagna la percentuale si attesta al 47,6, in Francia al 48,3, in Germania al 60,2 e in Gran Bretagna arriva al 63,7.

Aumentano le differenze sociali di istruzione

Il fatto più rilevante è che negli ultimi anni le differenze tra lettori, basate sul livello di istruzione e sulla classe socio-economica, si sono accentuate invece di ridursi.  La recessione economico-finanziaria non dovrebbe essere sinonimo di crisi della cultura poiché, come sostengono molti illustri sociologi, mantenere in vita la creatività può contribuire ad uscire più facilmente dalla crisi, oltre a migliorare il livello della qualità della vita. Indagare i legami tra cultura e potere diventa allora decisamente interessante.
Gli investimenti per la conservazione del patrimonio culturale italiano sono tra i primi ad essere bloccati in caso di una situazione economica sfavorevole: questo avviene a partire dallo stesso circuito istituzionale che guida attualmente il Paese (come del resto dimostrano i pesanti tagli alla cultura nei settori dell’istruzione e della ricerca).

Una crisi destinata a diventare cronica

Si tratta cioè di azioni che, lo ripetiamo, a detta di molti non fanno che precludere la possibilità di un futuro sostenibile. I nostri politici saranno, praticamente, i fautori di una crisi che diventerà “cronica” se non si investirà sulla cultura: l’unico fattore che gioca un ruolo fondamentale per il superamento delle fasi critiche di una società, in quanto stimola la creatività facendo aumentare le possibilità di trovare soluzioni alternative e pragmatiche alle crisi e in grado di produrre i mutamenti negli stili di vita, nelle pratiche quotidiane e nei comportamenti dei singoli.
Forti di queste consapevolezze pensiamo ora ai nostri assessori alla cultura: tutto quanto appena detto non rappresenta forse molto di più di una ‘buona ragione’ per togliere le istituzioni culturali dalle mani dei politici e affidarle, come sarebbe opportuno, a dei veri intellettuali?

Pubblicato in Focus

Scritto da

Nata a Roma nel 1984. Laureata in Lettere. Blogger e collaboratrice giornalistica

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