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Il caso Berlusconi – Veronica Lario
Ciò che ha importanza sono le ragioni alla base della sentenza. Il giudice avrebbe deciso di applicare alla controversia il precedente giudiziario enunciato dalla Cassazione nel caso Grilli-Lowenstein, risalente al maggio scorso. La Suprema Corte aveva fatto venir meno in quella sede il parametro che favoriva il coniuge economicamente più debole.
Parametro che configurava nei confronti di questi una legittima aspettativa a vedersi corrispondere un assegno mensile idoneo al mantenimento del medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Da quel momento, il diritto all’assegno divorzile è stato ritenuto invocabile solo da parte degli ex coniugi privi di redditi o incapaci di lavorare per colpa non a loro imputabile. Condizioni ben lontane da quelle in cui versa la Lario, che disponendo, tra le altre cose, di uno sterminato patrimonio immobiliare, non solo risulta essere autosufficiente, ma anche beneficiaria di un tenore di vita elevatissimo.
La decisione sul caso Grilli-Lowenstein
La decisione sul caso Grilli-Lowenstein ha contraddetto un orientamento che vantava decenni di autorevolezza, sostituendo il noto indice del tenore di vita matrimoniale con quello nuovo relativo “all’indipendenza o autosufficienza economica” del coniuge meno facoltoso.
Provvedimento ulteriormente confermato a favore del leader di Forza Italia, con una sentenza che Gian Ettore Gassani, Presidente dell’Associazione Matrimonialisti Italiani ha definito “storica“, eleggendola a statuizione-spartiacque tra il vecchio e il “nuovo diritto di famiglia“.
I recenti mutamenti intervenuti a modificare il previgente assetto in maniera “rivoluzionaria” rendono necessario un chiarimento della portata che assume oggi la normativa in materia divorzile.
Il coniuge richiedente il mantenimento
In realtà, la necessità di una svolta si faceva sentire già da tempo. Complice forse anche la crisi che incalza, di recente si era registrato un atteggiamento della magistratura sempre meno magnanimo nei confronti del coniuge richiedente il mantenimento.
E in assenza di un intervento di riforma del legislatore, è stata la Suprema Corte a prendere in mano le redini della situazione. Ne è scaturita la fissazione di una nuova regola per la determinazione dell’entità dell’assegno che ha lasciato, almeno inizialmente, qualche dubbio in termini di applicazioni pratiche.
Ciò che è certo è che all’ex coniuge più “povero” non basterà più fornire argomenti a fondamento di una propria condizione di inferiorità economica per vedersi corrisposto l’agognato assegno. L’onere della prova, più sostanzioso, richiederà la dimostrazione del fatto che l’ex coniuge non dispone di alcun reddito (né della casa coniugale o di proprietà immobiliari) e non può far nulla per procurarselo (in ragione di età, stato di salute, esperienza lavorativa). E tutto questo non per sua colpa.
Nuovo criterio di discrimine è quindi la sussistenza di indipendenza economica (o la possibilità effettiva di conseguirla) per il coniuge che avanza la pretesa (cui, è noto, non deve essere addebitabile la responsabilità dello scioglimento del matrimonio).
Del resto, tale soluzione non appare azzardata, in quanto in linea con ciò che la legge prevede già per il figlio maggiorenne. Il giudice, infatti, può riconoscere a quest’ultimo, se non indipendente economicamente, il diritto a vedersi corrisposto il versamento di un assegno periodico, valutate le circostanze del caso.
E parlando di figli, occorre fare una ulteriore precisazione. La nuova tendenza giurisprudenziale dispiega i suoi effetti solo nei rapporti tra ex coniugi, non andando ad intaccare le garanzie previste in capo alla prole. Anche dopo il divorzio, a quest’ultima dovrà infatti essere assicurata la persistenza nel tenore di vita vantato in costanza di convivenza o matrimonio dei genitori (leggi: La norma sull’affidamento dei figli contesi).