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Wikileaks: la politica si adatterà al cambiamento?

Sono passate già più di due settimane da quando Wikileaks ha pubblicato e diffuso attraverso la rete quella mole di imbarazzanti documenti segreti, trafugati con l’intenzione di svelare i retroscena tutt’altro che diplomatici della politica internazionale.
Per diversi lunghi giorni Assange ha visto pendere sulla sua testa un mandato di cattura internazionale emesso dall’Interpol, proprio come avviene per i terroristi: era ricercato in ben 180 Paesi con l’accusa per stupro in Svezia. Poi l’arresto. O meglio, la “resa” del giornalista australiano di Wikileaks che si è consegnato spontaneamente alla polizia inglese.
Il mondo accademico ed intellettuale non ha tardato ad esprimere la “grave preoccupazione” per la sicurezza del giovane attivista, relativa all’effettiva tutela della sua libertà di comunicazione e dei suoi diritti fondamentali.
Nella lettera destinata al Premier Julia Gillard tra i firmatari spiccava il nome di Noam Chomsky, il prestigioso linguista americano notoriamente molto critico nei confronti della politica estera statunitense.

Vecchio ordine e nuova cultura di internet

Ed è in particolare alla reazione della diplomazia americana verso i dispacci pubblicati da Wikileaks che il The Guardian ha dedicato in questi giorni un lungo articolo sulle sue pagine, incentrato ad analizzare l’intricato e contraddittorio rapporto tra politica e internet.
“Stiamo assistendo al primo vero confronto tra l’ordine costituito e la cultura di internet” scrive l’articolista, anche se forse sarebbe più corretto definirlo uno ‘scontro rumoroso’. “La reazione del vecchio ordine è stata feroce, coordinta e globale, e rappresenta un duro avvertimento per chi ha a cuore la democrazia e il futuro di internet”.
Il giornalista si riferisce cioè agli attacchi ripetuti ai provider che ospitano Wikileaks sui loro server, avvenuti immediatamente dopo la divulgazione dei documenti segreti sulla politica insieme al blocco improvviso di Amazon, eBay e PayPal ai finanziamenti del sito e paralleli anche al tentativo di intimidazione del governo degli Stati Uniti agli studenti della Columbia University che su Facebook commentvano le informazioni diffuse da Assange.

Il ruolo di internet

“C’è una deliziosa ironia nel fatto che siano proprio le cosiddette democrazie liberali a chiedere a gran voce la chiusura di Wikileaks. Pensate, per esempio, a quello che sosteneva l’amministrazione degli Stati Uniti meno di un anno fa” quando, cioè, il segretario di stato Hillary Clinton fece un discorso epocale a Washington sulla libertà di internet, all’epoca interpretato da molti come un rimprovero alla Cina per il suo presunto attacco informatico a Google.
La Clinton dichiarava infatti: “l’informazione non è mai stata così libera; anche nei paesi autoritari i siti di informazione stanno aiutando le persone a scoprire fatti nuovi e a chiedere ai governi di rendere conto delle loro scelte”.

Libertà di accesso all’informazione in occidente

Eh sì, disse proprio questo. Nell’articolo del Guardian viene poi ricordato che anche Obama, durante una visita in Cina lo scorso anno, difese il diritto delle persone ad accedere liberamente alle informazioni della rete, sottolineando che il loro ‘flusso libero’ rende più forti le società.
Praticamente i leader politici americani che recentemente hanno criticato l’esistenza stessa di Wikileaks, sono gli stessi che solamente pochi mesi fa esaltavano come l’accesso alle informazioni aiutasse i cittadini a responsabilizzare i governi, generando nuove idee e incoraggiando la creatività. Al di là dell’evidente paradosso, ciò che conta è che in uno dei due casi essi hanno mentito.

Il caso Wikileaks

E infatti l’articolista inglese scrive: “le rivelazioni di Wikileaks dimostrano come le élite politiche delle democrazie occidentali abbiano ingannato i loro elettori. Nell’ultimo decennio i leader politici occidentali hanno dimostrato di essere incompetenti, corrotti o sfrenatamente militaristi.
Eppure non sono mai stati chiamati a dar conto del loro operato. Hanno continuato a confondere le acque e a mentire e quando finalmente qualcuno ha sollevato il velo della segretezza, la loro reazione istintiva è stata quella di uccidere chi ha dato la notizia”.
La querelle scoppiata in seguito al caso Wikileaks è destinata a rimbombare ancora a lungo. Se è vero infatti che la diffusione di notizie segrete può essere amorale e al limite della legalità (per non dire anche irresponsabile e molto imbarazzante) è vero anche che, quando non esiste più il rispetto delle regole a partire dalla politica, soltanto l’informazione (e in particolare quella veicolata da internet) può avere il potere di sollecitare i governi a dar conto di ciò che fanno. Non dovrebbe essere anche questa, dopo tutto, la prerogativa di ogni vera democrazia?

Pubblicato in Focus

Scritto da

Nata a Roma nel 1984. Laureata in Lettere. Blogger e collaboratrice giornalistica

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