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Benedetto XVI: Vatileaks 1
Nel corso dei primi mesi del 2012 c’era stata una fuga di documenti che hanno portato alla luce irregolarità nella gestione finanziaria del Vaticano, le norme antiriciclaggio e lotte di potere all’interno delle stesse mura.
Tra i documenti che hanno fatto più scalpore però vi è quello in cui si attribuiva un presunto complotto di morte ai danni di Benedetto XVI da attuarsi in un anno e che avrebbe portato all’ascesa pontificia del cardinale Angelo Scola. Era il 25 maggio del 2012 quando venne arrestato Paolo Gabrielli, il maggiordomo dell’allora pontefice Benedetto XVI, che aveva trafugato documenti importanti poi passati al giornalista Nuzzi che le ha pubblicate nel libro “Sua Santità. Le carte riservate di Benedetto XVI”.
Le carte riservate di Papa Ratzinger:
Gabriele era un uomo di fiducia di Ratzinger e proprio su tale rapporto avrebbe giocato per trafugare lettere e fascicoli privati. Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, coniò allora il termine Vatileaks (Vati- Vaticano e leaks- fuga di notizie) in riferimento all’organizzazione internazionale Wikileaks nata nel 2007, che mirava a pubblicare e diffondere informazioni di interesse pubblico che normalmente Stati e multinazionali non vogliono diffondere.
Con lui fu accusato soltanto l’informatico dipendente della Segreteria di Stato, Claudio Sciarpelletti, a cui fu condonata la pena, mentre Paolo Gabrielli venne condannato a un anno e sei mesi, ma dopo due mesi di prigionia il papa gli concesse la grazia.
Papa Francesco e il Vatileaks 2:
Con l’arrivo di papa Francesco molte cose stanno cambiando, ma forse ancora c’è da lavorare. La magistratura vaticana ha rinviato a giudizio cinque persone al termine dell’inchiesta sulla sottrazione e la diffusione dei documenti riservati della Santa Sede, nota come Vatileaks-2.
L’inchiesta, esplosa a inizio novembre, ha visto l’arrestato di monsignor Lucio Vallejo Balda, Francesca Chaouqui e il rinvio a giudizio per i due giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi. Tra gli imputati anche Nicola Maio, ex collaboratore della Cosea, commissione referente sulle strutture economiche e amministrative della Santa Sede.
La prima udienza in Città del Vaticano si è tenuta il 24 novembre 2015, il collegio giudicante era composto dal presidente Giuseppe della Torre, i giudici Piero Antonio Bonnet, Paolo Papanti- Pelletier, il supplente Venerando Marano e il promotore di giustizia Gian Pietro Milano.
Ma quali sono i capi di imputazione?
Il reato ipotizzato è quello previsto dall’articolo 116 bis del codice penale Vaticano, cioè la divulgazione di notizie e documenti riservati. L’accusa ai giornalisti non è di aver pubblicato notizie diffamatorie o false ma di aver pubblicato notizie che in questo caso sono finite nei libri “Avarizia” e “Via Crucis”.
Secondo i giudici vaticani infatti, i due giornalisti avrebbero esercitato pressioni e sollecitazioni su Vallejo Balda per avere i documenti che in parte hanno usato per scrivere i libri. A Vallejo Balda, Chaouqui e Maio è contestato anche il reato di associazione per delinquere.
In particolare il Pm Vaticano contesta ai tre di essersi associati tra loro all’interno della Prefettura per gli affari economici e di Cosea “formando un sodalizio criminale organizzato, dotato di una sua composizione e struttura autonoma allo scopo di divulgare notizie e documenti concernenti gli interessi fondamentali della Santa Sede e dello Stato”.
Processo lampo in vista del Giubileo:
Da lunedì 30 novembre cominceranno gli interrogatori perché la Santa Sede vuole chiudere tutto prima dell’ 8 dicembre, inizio del Giubileo. Un processo che ha creato non poco scalpore visto che gli avvocati della Chaouqui e dei giornalisti non sono stati ammessi all’udienza, in quanto non erano iscritti al foro Vaticano.
I giudici vaticani hanno respinto la nullità del processo e quindi gli imputati rischiano una condanna da 4 a 8 anni di reclusione secondo la legge emanata nel 2013 dallo stesso Bergoglio. Siamo alla vigilia del Giubileo indetto dal santo padre sul tema della Misericordia e non aggiungiamo nulla di più.
Forse sarebbe il caso per la politica di agire per qualcosa di utile e cercare di bloccare un processo alle idee, alle parole e alle intenzioni. Non mettere di nuovo un bavaglio all’informazione e alla libertà di stampa, già pesantemente indebolita da migliaia di giornalisti e padroni che preferiscono, il più delle volte, nascondere una notizia e non pubblicarla.