Intermediari stranieri nel capitale della Banca di Italia:
La scopo più evidente del decreto legge è quello di fare cassa tassando le plusvalenze ottenute dalle banche che cederanno la propria partecipazione in Banca d’Italia. Tuttavia è altrettanto evidente che consentire l’ingresso nel capitale della nostra banca centrale anche a intermediari stranieri non potrà che determinare il rischio di accordi tra proprietari di quote che consentano di aggirare agevolmente il predetto limite del 5%.
E’ infatti ovvio che gli intermediari europei potrebbero essere controllati da ulteriori soggetti, non necessariamente europei, che si troverebbero quindi a detenere quote di partecipazione della nostra banca centrale, già ormai svuotata di sovranità monetaria ormai appannaggio esclusivo della BCE.
E’ sicuramente condivisibile la voce di chi ricorda che il governo della Banca d’Italia è indipendente dalla sua proprietà, cui non è attribuito il potere di influire sulla politica monetaria, sebbene i recenti scandali bancari e le accuse di conflitto d’interesse in capo alle banche titolari di partecipazioni lascerebbero quantomeno pensare il contrario.
E’ anche vero che l’indipendenza di Bankitalia è sancita dal suo stesso Statuto, laddove viene scritto che “nell’esercizio delle proprie funzioni, la Banca d’Italia e i componenti dei suoi organi operano con autonomia e indipendenza nel rispetto del principio di trasparenza, e non possono sollecitare o accettare istruzioni da altri soggetti pubblici e privati”.
Inoltre, la partecipazione al capitale di Bankitalia, rappresentato da certificati nominali, è trasferibile – su proposta del Direttorio – solo previo consenso del Consiglio superiore, nel rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza dell’Istituto e della equilibrata distribuzione delle quote e previa verifica che l’acquirente sia riconducibile a determinate categorie di soggetti “qualificati”, al pari di banche ed imprese assicuratrici, nonché fondazioni dotate di rilevante patrimonio.
Una banca ormai svuotata di ogni funzione:
E’ altrettanto vero, però, che già nel 2005 era emersa l’opportunità se non la necessità di ridefinire l’assetto proprietario di Via Nazionale, riportando Banca Italia sotto il pieno controllo pubblico. La legge 262 del 2005 demandava infatti a regolamento del Presidente della Repubblica da emanarsi entro tre anni, le modalità di trasferimento delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici (attualmente, appunto, banche ed imprese assicuratrici).
L’esigenza di rivedere l’asset di partecipazione della banca centrale nazionale ormai svuotata della sovranità monetaria è rimasta, tuttavia, un precetto normativo inattuato, se si considera come dal 2005 il regolamento attuativo del Presidente della Repubblica non è mai stato adottato.
Il deciso cambio di rotta dello scorso 27 novembre, con l’apertura anche agli “investitori” stranieri, getta quindi ulteriori ombre sul reale obiettivo perseguito dal Governo in tema di politiche monetarie, ormai sempre più riservate ad “autorevoli” voci estere a discapito della reale indipendenza di un organismo quale la banca centrale nazionale, che a differenza di quanto accade con la Banca d’Inghilterra rischia di vedere frantumato il proprio controllo tra tanti, troppi soggetti, peraltro neanche più italiani.