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Più frutta nelle bevande: quali aspetti positivi
Il fatto di elevare la quantità minima di frutta presente nelle bevande ha naturalmente aspetti positivi, così come negativi. È indubbio che in termini di benefici sulla salute dei consumatori, una quantità maggiore di frutta nei succhi sarebbe ben vista; la maggior parte di medici e nutrizionisti concordano su questo punto.
Effetti benefici ci sarebbero anche per il comparto agricoltura se facciamo fede a quanto affermato dalla Coldiretti, ovvero che con l’aumento al 20% del contenuto minimo di frutta nelle bevande prodotte e vendute in Italia ci sarebbe un incremento di circa 200milioni di chili di arance all’anno in più e che questo aumento riguarderebbe circa 23 milioni di italiani che bevono bibite gassate. Da questo dato si può capire come oltre all’aspetto della salute ne trarrebbe giovamento anche il comparto agricolo dei produttori di frutta.
Vantaggi quindi per consumatori e produttori; ma non è tutto rosa e fiori. Perché c’è chi è del parere opposto e vede in un potenziale incremento della percentuale minima di frutta nelle bevande analcoliche un potenziale danno.
Aumento frutta nelle bevande: aspetti negativi
La misura potrebbe essere un argine alla competitività del settore agricolo verso gli altri concorrenti europei; se l’emendamento alla legge Ue dovesse essere approvato, questo varrebbe solo per l’Italia. Il che significa che nei nostri supermercati potrebbero iniziare a comparire bevande a base di frutta con percentuale al di sotto del 20% provenienti da altri paesi Ue.
La norma è infatti rivolta a chi produce in Italia, non a chi commercializza: e questo in applicazione alla norma relativa al principio della libera circolazione delle merci nei paesi Ue. Una bevanda con una percentuale di frutta inferiore al 20% potrebbe essere tranquillamente prodotta in altro paese Ue, e poi commercializzata in Italia. Dove, se la norma fosse applicata, i produttori sarebbero invece obbligati a non scendere sotto la soglia del 20% di frutta.
Di contro, pur se la norma venisse accettata i produttori italiani sarebbero ancora liberi di continuare a produrre bevande con una percentuale di frutta la di sotto del 20%, a patto di venderle fuori dall’Italia, in altro paese Ue.
In sostanza, si creerebbe un meccanismo farraginoso e per certi versi paradossale al punto che già nel 2012 si era provato, tramite il noto decreto Balduzzi, ad aumentare al 20% la soglia minima di frutta nelle bevande a base di frutta ricevendo come tutta risposta un esito negativo della procedura di notifica della direttiva 98/34/CE. L’Unione Europea aveva evidenziato come il provvedimento potesse essere lesivo delle norme in materia di libera circolazione delle merci e anche in quel caso non se ne fece più niente.
Impatto sui consumatori:
Tra chi sostiene l’effetto negativo che una tale normativa potrebbe avere, vi sono anche alcuni studi relativi al potenziale impatto sui gusti dei consumatori; aumentando il livello di frutta le bevande potrebbero risultare più aspre. Di conseguenze potrebbero non riscontrare più il gradimento dei consumatori. O, in alternativa, per bilanciare il tutto sarebbe necessario incrementare il livello di zucchero nella bevanda stessa andando così a renderla potenzialmente più dannosa per la salute del consumatore.
Anche la questione relativa alla quantità minima di frutta nelle bevande analcoliche a base di frutta è, in Italia, il cane che si morde la coda.