Parmalat, Gancia, Star e Scotti: brand italiani emigrati
Si parla di brand storici un tempo alfieri del tricolore; come la Parmalat ad esempio, che dopo il crac del 2003 ed una lunga serie di vicissitudini societarie dal luglio del 2011 è controllata per oltre l’80% dalla francese Lactalis. Che, tra l’altro, controlla anche i marchi Galbani ed Invernizzi, altre eccellenze del made in Italy.
Stesso discorso per gli spumanti Gancia, espressione di una delle più importanti case viti-vinicole italiane fondata alla fine del 1800; dal 2011 la Gancia è passata sotto il controllo di Rustam Tariko, magnate russo che attualmente detiene oltre il 70% della azienda. Sempre dal 2011 gli storici salumi Fiorucci sono nelle mani di un gruppo spagnolo, mentre la Nestlè, multinazionale svizzera, possiede ormai da diversi anni marchi storici del made in Italy quali Buitoni, Perugina e San Pellegrino.
Anche i noti pomodori pelati della Star da tempo non parlano più italiano e sono finiti per il 75% sotto il controllo del gruppo spagnolo Agroalimen di Barcellona, mentre recentemente ad oriente è sbarcata la produzione di vino Chianti nel cuore della Docg del Gallo Nero, divenuta di proprietà di un gruppo imprenditoriale cinese.
Da pochi mesi il marchio Riso Scotti è stato acquisito per il 25% dalla multinazionale spagnola Ebro Foods, mentre già da tempo (2008) altri due brand storici nostrani, ovvero olio Bertolli d Orzo Bimbo, sono finiti rispettivamente in Spagna ed in Svizzera alla Novartis.
I brand del lusso italiano emigrano:
E questo solo per parlare del settore agroalimentare; perché andando ad ampliare il discorso, potremmo citare il marchio Gucci, che da diversi anni ha preso la via della Francia; Bulgari, che da poco ha ceduto il proprio 50% ai francesi di Lvmh; o ancora l’altro storico marchio di moda Valentino che, nel 2012, è stato acquisito da una ricchissima società di investimenti del Qatar.
Agroalimentare e moda, ovvero due settori cardini della nostra economia e che da sempre sono sinonimo di eccellenza e qualità nel mondo; e la tendenza di vendere i nostri marchi, come si vede, è cresciuta negli ultimi anni parallelamente alla crisi economica che rende più facili le acquisizioni da parte di gruppi stranieri.
Passaggi di proprietà che portano a conseguenze diverse: se in alcuni casi la produzione resta sul territorio italiano, in altri si assiste ad una delocalizzazione della produzione con chiusura degli stabilimenti sul nostro territorio e conseguente danno per l’occupazione italiana.
Per non parlare della mancanza di trasparenza in tema di informazioni sui prodotti; da alcuni anni, sempre secondo la Coldiretti (e ci si riferisce quindi a prodotti agroalimentari), vengono spacciati come nazionali prodotti in realtà derivati da materie prime agricole provenienti dall’estero, trasformate e messe in circolazione con il marchio made in Italy.
Ad oggi questi prodotti rappresentano circa il 33% della produzione complessiva agroalimentare per un fatturato di circa 51 miliardi. Altro fattore che contribuisce ad indebolire il Made in Italy ed a sminuire agli occhi del mondo quello che una volta era un motivo di vanto.