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Il perchè delle privatizzazioni:
Si perché in un paese come il nostro, nel quale la burocrazia è una pachiderma che fatica a muoversi nonché un luogo dove si annidano spesso malaffare e corruzione, sottrarre il controllo di aziende importanti per affidarle ai privati può effettivamente apparire, non solo agli occhi dei più sfrenati liberisti, come un vantaggio.
Di contro naturalmente, resta il dubbio se sia moralmente giusto, oltre che conveniente da un punto di vista strettamente materiale, prendere aziende operanti in settori economici particolarmente strategici e di interesse nazionali ed affidarli a società private il cui primo fine è naturalmente quello di perseguire il proprio vantaggio economico. A questo si potrebbe aggiungere anche la questione nazionalistica della difesa dell’italianità di determinate aziende strategiche; argomentazione non troppo convincente in un mercato globalizzato e che spesso in passato è stata utilizzata più per attirarsi consensi elettorali che non per reale convinzione.
Iri, Eni, Enel e le altre:
La storia delle privatizzazioni in Italia è piuttosto nutrita e non sempre positiva; dopo alcune piccole operazioni negli anni ’80, è a partire dai ’90 che si assiste ad una fase più decisa di privatizzazioni per tentare di diminuire il debito pubblico. E ad essere interessate sono diverse aziende.
Nel 1992 una legge sancisce la trasformazione di Iri, Eni, Enel ed Ina in società per azioni il cui pacchetto azionario è assegnato al Ministero del Tesoro; stessa sorte toccherà in seguito anche alle Ferrovie dello Stato e Poste Italiane. Per quel che riguarda le privatizzazioni, si assiste via via alla vendita tramite il Tesoro, l’Iri o l’Eni di tutti i gioielli di famiglia; a partire dalla Cirio e Credito Italiano, prime in ordine di tempo, per arrivare a Comit, Ina, Sme, Italtel, Italimpianti, Nuova Tirrena, Banca Nazionale del Lavoro, Autostrade Spa ed altri.
Un programma di disimpegno ampio che porta lo Stato, nel giro di sette anni circa, ad incassare una cifra di quasi 200mila miliardi di lire; più del 12% del Pil di quell’anno. Nel 2000 si assiste alla dismissione dell’Iri (Istituto per la Ricostruzione Industriale), l’ente pubblico costituito negli anni ’30 per volontà di Mussolini con la finalità di preservare l’economia italiana che nel periodo di massima espansione era arrivato ad incorporare circa 1000 aziende risultando essere una delle aziende industriali più grosse del mondo intero.
Il caso Alitalia:
Diverso il discorso di altre due aziende come Alitalia, rinata nel 2008 dopo esser stata lasciata fallire in maniera poco chiara; e di Telecom, la cui privatizzazione avvenuta sotto Romano Prodi nel 1996 non è un esempio ortodosso di operazione – successo ed è anzi passata alla storia più che altro come operazione – pasticcio, per usare un eufemismo e fu probabilmente dettata dalla fretta di ridurre il debito per entrare nell’euro.
La storia delle privatizzazioni in Italia è quindi tutt’altro che lineare e limpida (altrimenti non saremmo italiani) ed è per questo che ogni volta che ne viene riproposta l’opportunità non sono in pochi a restare perplessi. Chissà se anche in questo caso, sempre ammesso che il progetto vada in porto, si assisterà ad un’operazione ‘all’italiana’ o se, per una volta, chiarezza e reale interesse per le sorti (attualmetne non buone) del paese riusciranno a prevalere.