Cala il tasso di occupazione dei laureati:
Focalizzandoci esclusivamente sull’ultimo anno, il calo del tasso di occupazione dei laureati riguarda non soltanto i neo-laureati (o in generale i laureati da poco tempo) ma anche quelli che la laurea l’hanno conseguita già da un po’: rispetto alla stessa indagine eseguita nel 2008, la stabilità lavorativa ha subìto una contrazione pari a 10 punti per le lauree triennali e 6 punti per le specialistiche.
Un po’ meglio è andata per i ‘colleghi’ delle lauree a ciclo unico che hanno visto una riduzione di soli 3 punti. In linea generale, la tendenza riscontrata per coloro che escono dall’università è quella di una minor stabilità lavorativa, stipendi bassi e aumento di lavori non regolamentati da alcun contratto (il fenomeno del lavoro nero riguarda il 7% dei laureati di primo livello e specialistici, e il 12,5% di laureati a ciclo unico).
Parlando degli stipendi, ad un anno dal conseguimento del pezzo di carta le retribuzioni superano di poco i 1.000 euro netti al mese con una contrazione netta dell’ 8%% tra i triennali e al 5% tra gli specialistici rispetto alla rilevazione precedente; allargando il confronto al quadriennio 2008 – 2012 si scopre che le retribuzioni reali sono diminuite per tutti i tipi di laurea del 16-18%.
Crolla il mito di ingegneria come laurea sicura:
Dati esplicativi di una notevole svalutazione del pezzo di carta, ma che riguardano una fetta di laureati che può pur sempre ritenersi fortunata; tra chi consegue la laurea sono infatti in aumento i disoccupati che passano dal 19% al 23 % (per quanto riguarda le lauree triennali) e dal 20% al 21% per quel che riguarda le lauree più lunghe.
In quest’ultimo elenco sono annoverate anche lauree ‘pesanti’ come ad esempio medicina, architettura, veterinaria, giurisprudenza e cicli di studio un tempo ritenuti vantaggiosi per un miglior posizionamento nel mercato del lavoro, vedi ingegneria. Come dire, se anche gli ingegneri possono dire addio a quello che un tempo era un posto di lavoro sicuro, siamo messi male.
E questo indubbiamente è più di un campanello di allarme, un chiaro segnale di una deriva che sembra inarrestabile e che porta, oltre a tutto quanto fin qui descritto in termini di dati e numeri, ad un’ inevitabile dispersione, per il nostro paese, di capitale umano anche di eccellenza.
Capitale umano che spesso, come ormai acclarato, per trovare un lavoro all’altezza delle proprie potenzialità è costretto ad emigrare verso lidi più favorevoli andando ad impoverire ulteriormente un’ Italia già abbastanza allo sbando.