Senza lavoro e in povertà assoluta:
Il lavoro non c’è, sebbene si dica che sono diminuiti i disoccupati e i dati Istat relativi allo scorso anno dipingono un quadro ben poco esaltante.
Più di 4 milioni e mezzo di italiani (che corrispondono a poco meno di un milione e seicentomila famiglie), infatti si trovano in condizione di povertà assoluta, un numero impressionante, il più alto dal 2005, che acquista un peso e una dimensione da far rabbrividire se si pensa che ciò corrisponde a una persona su tredici.
Il fenomeno, che fino a qualche tempo fa incideva soprattutto al sud, è in rapida espansione anche al nord, complice il prolungarsi della crisi. Come avevamo documentato già alcuni anni fa, la povertà è in forte crescita un po’ ovunque.
Ma se fino ad un anno fa la colpa sarebbe stata imputata senza dubbi alla disoccupazione (che rimane sempre eccessivamente elevata), il report di Movimprese, relativo al secondo trimestre del 2016 vede un saldo attivo, con un aumento di 38 mila unità (con un +40% concentrato al Sud), il che fa pensare che gli stipendi anche ove presenti siano ormai inadeguati.
La soglia di povertà:
A soffrire maggiormente sono le famiglie italiane con almeno 4 membri e i nuclei con soli stranieri che tendono ad essere con più frequenza numerose (dai 4 membri a salire).
Ma qual è la soglia di riferimento? Parlando di povertà assoluta, già in crescita da anni, per un single è stimata attorno agli 800 euro mensili se vive in un’area metropolitana al nord e poco più di 730 euro se risiede al sud.
Sempre secondo l’Istat a risentire maggiormente della povertà sono le famiglie degli operai, e quelle nelle quali il grado di istruzione degli occupati è più basso.
Infatti, in un solo anno, la percentuale di famiglie in povertà assoluta, con operaio come principale o esclusivo occupato è salita di due punti percentuali, passando dal 9,7% all’11,7% sul totale.
Invece nelle famiglie che hanno come reddito di riferimento quello di un dirigente, impiegato o quadro, la percentuale incide complessivamente per meno del 2% sul totale. Persino nel caso di coloro che sono andati in pensione di recente l’incidenza è al di sotto del 4%.