Conflitto di generazioni:
Federico è un calciatore di serie A, che si è infortunato e si è voluto curare da un medico di proprio gradimento, e per questo ha litigato con il presidente, che lo ha messo in vendita. Federico ha rifiutato di firmare per un’altra squadra di serie A che lo aveva cercato. ‘Troppo brutta quella città’, aveva detto al presidente, ‘io voglio restare qui’, e da allora si allena con un gruppo di ragazzini di diciotto anni, ai margini della prima squadra.
Tutti i giorni gli sembrano uguali, adesso. Guida il suo Cayenne fino al campo di allenamenti e ripensa all’ultima conquista, una valletta tv, neanche ricorda quale sia il canale, sono tutte uguali ormai. Ma nonostante tutto, Federico è triste. Ripensa alle parole di suo padre, che alla sua età, nel 1968, li guadagnava in due mesi i tremila euro che Federico porta a casa ogni giorno. E ripensa alle battaglie che combatteva, suo padre, un operaio, per ottenere un aumento di salario. Glielo diceva sempre: “Non era solo per il grano, era una battaglia per i nostri diritti”. E così si decide.
Chiama altri calciatori, li convince. Vuole organizzare uno sciopero. Si, esatto, proprio uno sciopero, come fanno quei ragazzi che adesso occupano le università e invadono le piazze. E poco importa se ai tempi di suo padre si parlava di primavera di Praga e adesso l’unica Praga di primavera che interessa è quella dello Sparta, finale di Coppa Uefa, a maggio. Si tratta di diritti, e la gente farà bene a capirlo, una volta per tutte.