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Posti vacanti ai massimi dal 2010
Cominciamo dalla base del nostro focus: secondo l’Istat la quota di posti vacanti è salita nelle ultime settimane ai massimi livelli dal 2010 (inizio delle serie storiche). Significa che mai come nel corso degli ultimi sette anni le imprese che stanno tornando a cercare personale hanno difficoltà a soddisfare la loro richiesta.
Nel secondo trimestre, infatti, la quota di posti vacanti ha raggiunto lo 0,9%, con un aumento dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti, e con punte dell’1% nei servizi (lo 0,7% nell’industria).
Per quale motivo? Quanto sopra ci conduce a due riflessioni che, in fondo, rappresentano due facce dell’identica medaglia: se infatti da una parte è positivo il fatto che sempre più imprese vogliano assumere, è altrettanto vero che le imprese stesse cercano nuovi lavoratori in settori sempre più specifici, con competenze che le persone in cerca di lavoro spesso non posseggono.
Mancano le competenze
A ribadire quanto sopra è stato anche un recente focus del quotidiano economico finanziario Il Sole 24 Ore, secondo cui stanno calando le richieste di personale in grado di effettuare lavori meccanici e di routine, mentre starebbero crescendo le richieste di professionisti qualificati, come ad esempio gli analisti finanziari o gli esperti in progettazione di software.
L’analisi “L’impatto sul mercato del lavoro della quarta rivoluzione industriale”, presentata dal presidente Istat Giorgio Alleva al Senato (report scaricabile sul sito istat.it), dichiara in proposito come a imporsi sono soprattutto le carriere ad elevato tasso di qualifiche nel commercio e nei servizi (+ 403 mila) e le professioni intellettuali e scientifiche a elevata specializzazione (+ 330 mila).
Calano invece le attività del gruppo di artigiani, di operai specializzati e di agricoltori (- 579 mila unità). Guai inoltre a pensare che la flessione riguardi solo primo settore e industria: a soffrire sono anche i profili esecutivi di ufficio, come il personale di segreteria e di contabilità (- 109 mila).
Le professioni sulle quali puntare
Dunque, su quali professioni conviene puntare nei prossimi anni? Entrando in un livello di maggiore dettaglio, tra le professioni più richieste potranno esserci certamente le figure in grado di apportare concreti valori aggiunti all’impresa, come gli addetti agli affari generali, i tecnici della produzione manifatturiera, gli analisti e i progettisti di software, gli specialisti nei rapporti con il mercato e nel marketing.
Saranno inoltre molto richieste le professioni in ambito sanitario e sociale, purché qualificate. Via libera dunque ai professionisti della riabilitazione e agli addetti all’assistenza. Non solo: per l’Istat potrebbe essere altresì il caso di puntare su addetti all’imballaggio e al magazzino, commessi alle vendite al minuto, professionisti della ristorazione.
E le professioni digitali?
Dagli studi condotti non mancano certamente gli approfondimenti sui professionisti del digitale. L’Istat evidenzia in merito come vi sia già un discreto totale di 750 mila lavoratori nel settore Ict italiano (Ict significa tecnologie dell’informazione e della comunicazione) nel 2016, con una crescita di quasi il 5% sul 2016 e del 12% sul 2011.
Anche in questo caso, i profili sempre più richiesti sono quelli ad elevato tasso di specializzazione, come gli ingegneri elettronici e delle telecomunicazioni, gli analisti e gli amministratori di sistema, gli specialisti di Rete e della sicurezza informatica.
Pure in questo caso tuttavia, il rischio è di alimentare crescenti posti vacanti: d’altronde, solamente 1 lavoratore su 4 ha competenze digitali almeno basilari, contro un lavoratore su tre del resto d’Europa…