L’impatto della crisi sull’occupazione:
Né questa tendenza sembra aver risparmiato il settore occupazionale; infatti, come si legge sempre dal rapporto, “In Italia l’impatto della crisi sull’occupazione è stato pesante. Nel biennio 2009-2010 il numero di occupati è diminuito di 532 mila unità” con un riscontro maggiore sui i giovani tra i 15 e i 29 anni, fascia d’età nella quale si registrano 501 mila occupati in meno, così come si è riscontrato, prendendo sempre come riferimento la medesima fascia di età, un aumento dei giovani che non studiano né lavorano; nel 2010 sono stati poco più di 2 milioni, vale a dire134 mila in più rispetto all’anno precedente.
Anche in questo caso la parte del Paese più colpita risulta essere il meridione, dove nel biennio 2009 – 2010 risiedeva più della metà delle persone che hanno perso il lavoro e dove l’occupazione si è ridotta di 280 mila unità; la recessione ha colpito in maniera consistente anche il nord dell’ Italia, dove si contano 228 mila occupati in meno, mentre è stata più clemente nelle regioni del centro che, come si legge dal rapporto, “sono rimaste invece sostanzialmente indenni dalle ricadute della crisi”.
Un paese spaccato a metà:
Numeri reali che certificano una spaccatura all’ interno del Paese, oltre che una difficoltà conclamata della classe politica a prendere decisioni adeguate ed a mettere in pratica politiche efficaci per attenuare questa deriva intrapresa. Spaccatura che, tra l’altro, non è presente solo tra regione e regione ma anche, ad esempio, tra uomini e donne: sono 800 mila infatti, secondo il rapporto annuale Istat, le donne le donne licenziate o messe in condizione di doversi dimettere a causa di una gravidanza. Si tratta dell’ 8,7% delle madri che lavorano o che hanno lavorato in passato, con un incremento fino al 13,1% per le donne giovani sotto i 40 anni.
Altra spaccatura nel Paese per quanto riguarda i 2 milioni e mezzo circa di cittadini che, con limitazioni della salute, non sono raggiunti da alcun tipo di sostegno: per intendersi si parla di persone che vivono sole o con altre persone anche loro con limitazioni e il 37,6% di queste è residente nel Mezzogiorno.
Ultimo dato interessante che portiamo come riferimento, anche questo piuttosto esplicativo, riguarda il risparmio delle famiglie, da sempre base solida sul quale il nostro paese ha costruito, in passato, le proprie fortune ed al quale si guarda spesso per essere ottimisti sul futuro: secondo il rapporto Istat, il clichè che vede gli italiani come ‘formiche’ dedite al risparmio sta via via venendo meno con le famiglie italiane che, per salvaguardare il livello dei consumi, hanno progressivamente eroso il loro tasso di risparmio, “sceso per la prima volta al di sotto di quello delle altre grandi economie dell’Uem”. Lo scorso anno infatti la propensione al risparmio delle famiglie si è attestata al 9,1%, “il valore più basso dal 1990”.
Un altro caposaldo che viene meno quindi, come quello delle imprese (altro punto di forza del made in Italy) il cui stock, secondo il rapporto Istat, “si è ridotto di 43 mila unità, per 363 mila addetti”; il che certifica quanto ci sarebbe bisogno, nel nostro paese, di un effettivo cambiamento e di misure concrete molto più degli slogan elettorali o dei tanti discorsi autoreferenziali che, da sempre, trovano nella nostra classe politica abili propositori e, nei cittadini, un buon terreno fertile.