Giornalisti: la metà sono disoccupati o in nero
Fatta questa doverosa premessa, in rapporto alle altre realtà il numero dei giornalisti in Italia è decisamente troppo elevato; i giornalisti attivi e ‘visibili’, vale a dire quelli con una regolare posizione all’ Inpgi (Istituto di previdenza dei giornalisti), sono meno della metà degli iscritti all’albo.
Ragion per cui, più della metà o non esercita la professione o la esercita in nero, senza alcun riconoscimento (continuando comunque a pagare la tassa annuale all’ Ordine dei Giornalisti). E, a questo punto, il fatto di essere iscritti ad un ordine professionale, verrebbe da dire, è totalmente inutile. Il classico cane che si morde la coda.
Tra l’altro, in materia di giornalisti attivi e ‘visibili’ il numero di lavoratori dipendenti è in sostanziale calo; rispetto al 2008 infatti, il dato è sceso di oltre 5 punti percentuali mentre è salito quello dei lavoratori autonomi (che tuttavia sono profondamente svantaggiati da un punto di vista dei redditi e delle condizioni di lavoro). Si preferisce quindi tentare la strada dell’autonomia non essendoci più sbocchi come dipendenti.
Altra situazione di criticità riportata nel rapporto è quella relativa ad un sostanziale blocco del turn over: i praticanti sarebbero infatti scesi da 1.306 del 2009 agli 868 del 2011, mentre dal 2007 al 2011, prendendo a riferimento i tre maggiori gruppi editoriali presenti (Rcs, Espresso e Mondadori), sono stati tagliati circa 3.300 posti equivalenti al 21% del totale.
Un mestiere vecchio e inflazionato:
Quanto descritto sopra sta inevitabilmente portando ad un invecchiamento della professione con uno squilibrio tra attivi e pensionati che pende sempre più dalla parte di questi ultimi. Secondo l’ Inpgi il rapporto tra attivi e pensionati continua a scendere inesorabilmente passando da 2,58 del 2010 a 2,45 del 2011; Casagit (Cassa Autonoma di Assistenza Integrativa dei Giornalisti Italiani) fa presente come attualmente i pensionati siano il 27% dei soci, mentre nel 2008 erano il 22%.
Che si stia assistendo ad un radicale mutamento morfologico della professione del giornalista è fuori discussione; ma il cambiamento dovrebbe essere, come sempre, accompagnato e seguito da normative in grado di rendere meno drastico questo passaggio.
Il rischio è quello di inflazionare ulteriormente una professione ed un settore già congestionati, di assecondare disoccupazione e lavoro in nero, oltre che di continuare ad avere come riferimenti sempre i soliti vecchi tromboni; che poi, a conti fatti, non hanno più troppo da dire.