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Giovani e laureati: i dolorosi contratti atipici

Con la crisi diminuiscono le stabilizzazioni e aumentano le difficoltà. A pagarne le conseguenze sulla propria pelle è quel mezzo milione di precari licenziati dal 2008, in particolare donne, laureati e residenti al Sud. In Italia il il 25% dei 18-29 enni è assunto infatti con un contratto non a tempo indeterminato, contro la media nazionale del 65,5%.
Lo rivela una recente indagine Isfol Plus sull’offerta di lavoro. Secondo il dossier la percentuale di apprendisti nel nostro Paese è ferma all’1,4% e quella dei lavoratori italiani con un contratto atipico arriva al 12,4%: cifra che sale fino al 25% tra i giovani, con le donne (15,5%), i laureati (17,8%) e i residenti nelle regioni meridionali (14,2%) più coinvolti nel lavoro non standard.
Condizioni stagnanti del mercato del lavoro e contratti a termine al massimo di un anno: è questa l’impietosa fotografia scattata dal centro di statistica.
Nel periodo 2008-2010, il 37% degli atipici è passato a un’occupazione standard, ma il 43,1% è rimasto nella condizione originaria e circa il 20% è finito nell’area dei senza lavoro. Tra chi era in cerca di un’occupazione, poi, 6 su 10 sono rimasti nella stessa condizione e poco meno del 10% è confluito nell’inattività.
In generale i dati mostrano come il mondo del lavoro sia sempre meno permeabile, unitamente alla stabilizzazione delle posizioni lavorative che diventa più difficile di anno in anno.

 

Come tirar fuori dalla precarietà un’ intera generazione:

Anche la velocità di trasformazione e di conversione dei contratti flessibili in occupazioni stabili si è ridotta e gli esiti negativi sono aumentati: segnale che la crisi l’hanno pagata in particolare gli atipici e coloro che nel mondo del lavoro ancora non erano entrati a fine 2008. In quell’anno, infatti, L’Italia ha assistito alla fuoriuscita dal mondo del lavoro di quasi mezzo milioni di lavoratori atipici.
Le percentuali più alte nel sistema della precarietà riguardano i laureati, insieme alle donne e alle persone che risiedono nel Mezzogiorno. Secondo la Cgil è un dato che, senza interventi strutturali, sarebbe destinato ad aumentare perché la percentuale di trasformazione in lavoro standard è in drastico calo mentre aumenta il numero di chi finisce nell’area della disoccupazione.
Ma cosa occorre per fare uscire un’intera generazione dalla precarietà? “Tagliare le forme di lavoro precario e rendere più costosa la precarietà, puntare sull’apprendistato, dare tutele a tutti i giovani precari che ne sono privi, usare la leva degli incentivi per trasformare questo stock di precarietà in lavoro stabile”, spiega la confederazione. Tuttavia una concreta riforma del mercato del lavoro ancora non è stata definita dal Ministero preposto.
Infine, secondo uno studio pubblicato in queste ore dall’Eurostat, all’interno dell’Ue l’Italia ha il numero più alto di lavoratori “senza speranza”: 2,7 milioni, ovvero l’11,1% della forza lavoro. Significa più precisamente che una persona su tre senza speranza di trovare lavoro è italiana.
Il nostro Paese è quindi lo Stato europeo con il maggiore esercito di persone senza fiducia nel mercato del lavoro. Se si restringe il campo alla sola eurozona, i lavoratori “senza speranza” sono oltre 5 milioni. In questo caso è italiano addirittura uno su due.

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Scritto da

Laureata in Storia dell'Arte. Blogger e viaggiatrice instancabile.

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