Pietà per la vittima e istinto di proteggere il figlio
La pietà per la vittima che, se fosse lontana, emotivamente lontana, personalmente lontana, fisicamente lontana, sarebbe massima non rientra più nel panorama delle emozioni-sensazioni-turbamenti dell’oggi. La vittima non è più solo vittima e anche l’accusatrice, è anche prova del delitto.
E la domanda madre di tutte le domande diventa: perché? Perché l’ha fatto? Come ha potuto? Non è quello che gli ho insegnato. Dove sono i miei valori. Reali valori. Apparenti valori. Ecco, quest’ultimo pensiero, “non è quello che gli ho insegnato” diventa la trottola da cui partono a raffica tutte le altre domande che mettono il padre al centro del delitto di cui il figlio, alla fine, è stato “solo” il corpo del reato, “solo” l’arma del delitto.
E dunque dove ho sbagliato come padre? Perché l’errore è mio. Mia la responsabilità prima e ultima. Cosa gli ho dato? Cosa non gli ho dato? Cosa ho fatto e cosa non ho fatto?
Fuga dalla responsabilità
L’isteria prende alla gola. E man mano che le domande si affastellano nel cervello e cozzano contro la coscienza e sgretolano le mura dell’innocenza non resta che ammettere il fallimento come padre, e, come diretta conseguenza, scappare.
E nella fuga dalla responsabilità si palesa immediatamente la soluzione: la colpa è di un altro, di un’altra e il delitto non è mai stato commesso, era una sciocchezza, una ragazzata, e c’era il consenso e dunque difendere il figlio accusato, oltre ogni ragionevole dubbio. Quindi,come padre sono innocente. Di conseguenza se è innocente il padre lo è anche il figlio. Altrimenti qual è l’alternativa?
Abbandonare il figlio, scaricarlo come un frutto avariato? Per mantenere la propria innocenza. Smettere di amare, ammesso che abbia mai amato, il frutto del suo amore? Oppure dividere la pula dal grano. Che non è facile, vista la tempesta emotiva scatenata e ammettere la colpa. Colpa doppia. E se il figlio fosse accusato ingiustamente? Perché potrebbe, può essere innocente. Al padre non resta che fare ciò che ha sempre fatto: amare il figlio. E lavorare insieme, padre e figlio, a fianco di chi indaga. Sembra banale, ma non lo è.