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I nuovi paletti voluti da Di Maio
Il Decreto voluto dal Ministro del Lavoro e vice premier Luigi Di Maio va a fissare alcuni punti fermi che segnano una sostanziale discontinuità rispetto al recente passato. Il nuovo esecutivo gialloverde ha deciso di mettere in campo sanzioni per tutte quelle aziende le quali, dopo aver chiesto e ottenuto fondi da parte dello Stato al fine di dare il via a siti produttivi o per un ampliamento di attività già esistenti, abbiano poi deciso di spostare la propria attività al di fuori del territorio nazionale, in Europa o addirittura fuori del vecchio continente.
Con l’entrata in vigore del Decreto Dignità, le imprese non potranno più farlo prima di un quinquennio, pena la restituzione dei fondi ricevuti in una misura da due a quattro volte superiore. Il tutto indipendentemente dal fatto che l’aiuto ricevuto da parte statale sia stato erogato sotto forma di contributo, garanzia, finanziamento agevolato o beneficio fiscale.
La novità introdotta dal governo Conte ha naturalmente rilanciato il dibattito su un fenomeno che ormai da molti è visto con estremo allarme, considerato come nel corso degli anni anche molte aziende del Made in Italy abbiano deciso di delocalizzare le loro produzioni.
Quante imprese italiane delocalizzano all’estero?
Per la precisione sono oltre 35mila le realtà produttive che hanno compiuto un passo di questo genere nel periodo compreso tra il 2009 e il 2015, con un aumento del 12,7% rispetto ai casi fatti registrare nel decennio precedente. Ad attestare il dato è stata la CGIA, che ha lavorato sui dati forniti dalla Banca dati Reprint del Politecnico di Milano e dell’Ice.
Per misurare l’impatto del fenomeno sugli indici occupazionali del nostro Paese, occorre poi ricordare come ammonti a circa 50mila addetti la perdita fatta registrare all’interno delle imprese che hanno optato per il trasferimento delle attività produttive all’estero. Le cifre in questione hanno peraltro provocato una notevole sorpresa, in quanto a differenza di quanto ci si aspettava non è l’Europa dell’Est ad avvantaggiarsi maggiormente del fenomeno, bensì Paesi come gli Stati Uniti, Francia, Romania, Spagna, Regno Unito e Cina.
Un dato che sembrerebbe accreditare l’ipotesi di delocalizzazioni portate avanti non tanto per godere di un costo del lavoro più basso, quanto per aprire nuovi mercati alla produzione italiana. Alcune di queste aziende hammo peraltro deciso di tornare in Italia, come dimostrato dal caso di Benetton, Geox, Beghelli, Piquadro, Safilo ed altre.
La galassia di piccole imprese in Italia
Andrebbe anche ricordato che comunque l’Italia è il Paese che ha delocalizzato in misura minore, tra i più grandi dell’eurozona, proprio grazie alla sua particolare struttura fatta di una miriade di piccole imprese radicate sul territorio. Una caratteristica che secondo Eurostat ha rappresentato un punto di forza per il tessuto economico tricolore e che potrebbe essere ulteriormente rafforzata proprio dalla decisione del governo Conte di non agevolare questo tipo di operazioni.
L’approvazione del decreto è stata contrassegnata da polemiche roventi, anche in riferimento alla norma sulle delocalizzazioni. È stato in particolare Renato Brunetta, uno degli esponenti di spicco di Forza Italia a bollare il provvedimento alla stregua di un anacronismo. Secondo Brunetta, la norma che mira a contrastare le delocalizzazioni avrebbe in realtà un effetto deleterio e spingerebbe tante imprese che vorrebbero farlo a non investire nel nostro Paese, rivolgendosi ad altri sito dove troverebbero meno ostacoli.
In una nota a margine della discussione lo stesso Brunetta ha poi emesso una nota in cui accusa Di Maio di esprimere il suo orientamento anti-capitalista con una norma che invece di incentivare tenderebbe a punire chi decida di fare impresa lungo il territorio nazionale.