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Crisi economica: Italia che fallisce

Mentre in molte regioni italiane si avvicina la scadenza delle elezioni regionali e molti partiti politici sono impegnati in scontri verbali sempre più accesi su argomenti inerenti la cronaca giudiziaria, la situazione economica del nostro Paese precipita sempre più verso il baratro senza che giornali, radio e televisioni dedichino gli ampi spazi che tale tema richiederebbe, e soprattutto senza che la classe politica indichi i provvedimenti da adottare con urgenza per frenare l’emorragia di ricchezza e di posti di lavoro cui stiamo assistendo.
Le città italiane sono alle prese con una vera e propria tempesta che sta sconvolgendo la vita sociale, rompendo equilibri comuni che sembravano consolidati, rendendo estremamente labile ogni legittima speranza di futuro soprattutto alle fasce più deboli della popolazione.
Chiudono le fabbriche, aumenta la disperazione di chi non sa più cosa fare per tirare avanti. E’ di poche ore fa la notizia che nel Vicentino addirittura i fallimenti sono quasi raddoppiati: 36 negli ultimi 74 giorni. Uno ogni due giorni.

Fallimenti delle imprese in Italia:

Nel 2009 erano state 9mila le imprese italiane fallite, il 23% in più rispetto al già durissimo 2008. Erano i dati forniti dal Cerved group, secondo i quali tra ottobre e dicembre erano state aperte quasi 2.900 procedure fallimentari, +15% rispetto allo stesso periodo del 2008, trimestre nel quale si era già registrato un aumento di fallimenti del 43% rispetto al 2007.
Dopo la brusca caduta delle procedure seguita alla riforma della disciplina sulla crisi d’impresa – spiegava il Cerved – dall’aprile del 2008 i fallimenti hanno iniziato una corsa che dura da sette trimestri consecutivi, con tassi di crescita sempre a due cifre. L’impennata dei fallimenti ha riguardato soprattutto il Nord dove si era registrato un incremento del 25% nell’ultima parte dell’anno.
Nei dodici mesi del 2009 le procedure erano cresciute nel Nord Ovest del 33%, nel Nord Est del 26%, nel Centro del 16%, nel Sud e nelle Isole del 16,3%. Ad eccezione del Molise, in cui il numero di fallimenti del 2009 era  stato inferiore rispetto a quelli del 2008 (-17%) e della Basilicata (+2%), l’incremento delle procedure aveva fatto registrare ovunque tassi a due cifre con aumenti particolarmente elevati in Liguria (+48%), in Piemonte (+38%), nel Friuli (+36%), nelle Marche (+33%), in Emilia Romagna (+33%), e in Lombardia (+30%).
Rispetto alle imprese presenti sul territorio, era il Friuli la regione maggiormente colpita dai fallimenti (‘insolvency ratiò pari a 22), seguita dalla Lombardia (20) e dall’Umbria (20).

Le piccole aziende falliscono di più:

Le statistiche per dimensione di impresa confermavano che i fallimenti toccavano soprattutto aziende di piccola dimensione: il 75% delle società di capitale aveva un attivo inferiore a 2 milioni di euro tre anni prima dell’insorgere della crisi. Con un aumento del 33% dei fallimenti negli ultimi tre mesi del 2009, le costruzioni risultavano il settore che contava il maggior incremento di procedure nel corso dei dodici mesi 2009 (+31%), seguite dall’industria (+26% tra 2009 e 2008), dalle attività finanziarie, immobiliari, di noleggio e informatica (+24%), trasporti e le comunicazioni (+18%).
Rispetto al numero di imprese registrate, era l’industria il settore più colpito. Ed era risultato in crescita anche il ricorso al concordato preventivo: secondo gli archivi di Cerved Group, nel 2009 le imprese italiane avevano presentato oltre 900 domande di concordato (+62% rispetto al 2008), con una crescita nel solo ultimo trimestre che come i fallimenti aveva solo leggermente rallentato: +33% rispetto allo stesso periodo del 2008.
E mentre l’Italia andava verso il fallimento, lo Stato ci rassicurava sul fatto che tutto procedeva bene. Forse per la classe politica, di cui abbiamo letto i redditi sui giornali di ieri.

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Scrittore, giornalista, ricercatore di verità - "Certe verità sono più pronti a dirle i matti che i savi..."

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