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Decreto Dignità e contratti a termine
È l’articolo 1 del Decreto Dignità a cercare di attenuare il ricorso ai contratti a termine affermando che il rinnovo diventerà possibile solo a fronte di esigenze effettive e non potrà andare oltre i 24 mesi: un termine il cui superamento sancirà l’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore interessato. Il numero massimo di proroghe è stabilito a quattro, mentre ogni rinnovo a partire dal secondo sarà oggetto di un inasprimento di mezzo punto percentuale dei costi contributivi per l’impresa.
Tra gli altri punti del provvedimento, occorre poi ricordare l’aumento delle indennità che spettano al lavoratore nel caso si arrivi ad una conciliazione di fronte ad un licenziamento tale da risultare illegittimo. Inoltre è saltato il tetto dei 36 mesi che riguardava i precari della scuola, che secondo alcuni calcoli potrebbe avere conseguenze su 7mila di loro. Per ovviare alla situazione è stato quindi deciso di bandire un nuovo concorso straordinario cui potranno prendere parte coloro che vantano una laurea in scienze della formazione primaria e i diplomati magistrali.
La questione voucher
Anche i voucher sono entrati a far parte del decreto dignità che è andato a reintrodurli in settori come l’agricoltura e l’alberghiero. Un ritorno che ha letteralmente scatenato i sindacati confederali, con la Segretaria della CGIL Susanna Camusso spintasi a prefigurare lo sciopero contro una decisione vista come il fumo negli occhi dalle organizzazioni che rappresentano i lavoratori.
Come era prevedibile, il provvedimento ha creato una serie di polemiche, che hanno visto protagonisti in particolare il M5S da una parte e il Partito Democratico dall’altra. Nel corso della campagna elettorale, il movimento fondato da Beppe Grillo aveva ripetutamente esplicitato la sua intenzione di superare il Jobs Act di Matteo Renzi, in particolare ripristinando l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Se non è stato possibile procedere in tal senso, in quanto il programma di governo non prevedeva il ritorno della norma che impediva i licenziamenti economici, Di Maio ha comunque portato a casa un risultato di grande valore simbolico, potendo presentarsi come il primo ministro del Lavoro che da decenni a questa parte abbia cercato di contrastare l’ormai imperversante precarietà.
Quanti posti di lavoro rischiano di essere soppressi?
Il Partito Democratico, a sua volta, ha invece palesato la sua opposizione al provvedimento in nome della necessaria flessibilità che servirebbe alle imprese per poter reggere sul mercato, accusando quindi il decreto dignità di andare a porre una serie di paletti che potrebbero infine sortire l’effetto contrario, ovvero non spingere le aziende a stabilizzare i lavoratori, ma mandarli via una volta scadute le proroghe consentite.
A confortare il parere dell’ex partito di maggioranza relativa è stata in particolare una relazione dell’INPS secondo la quale la stretta sui contratti a termine porterebbe alla fine del primo anno alla soppressione di 8mila posti di lavoro. Una stima che però Di Maio ha espressamente rigettato, affermando come essa non prenda in considerazione l’intenzione del nuovo esecutivo di incentivare la stabilizzazione dei posti di lavoro anche con l’impiego di fondi pubblici.
Va peraltro sottolineato come nella discussione in atto abbia poi fatto capolino anche Confindustria, secondo la quale il provvedimento renderebbe più incerto il quadro delle regole, andando in tal modo a disincentivare gli investimenti e ad influire negativamente sul quadro economico, limitando l’auspicata ripresa.