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La guerra per le spiagge
In una nuova “guerra sulla spiaggia” che potrebbe essere descritta come un conflitto su più fronti, Roma si ritrova ora a respingere sia la lobby delle spiagge scontenta sia gli attivisti ambientalisti, in una disordinata lotta per il futuro della costa italiana. Gli stabilimenti balneari sono una tradizione di lunga data in Italia, per la maggior parte a conduzione familiare e tramandate di generazione in generazione: un simbolo del rilancio economico del Paese nel dopoguerra e sinonimo di “la dolce vita”. Ma la dolce vita ha anche un prezzo più salato: l’accesso alle strutture del club balneare costa in media € 20-30 al giorno e può arrivare fino a € 150 per stabilimenti più esclusivi.
La riforma delle licenze
Ma le cose potrebbero cambiare. Nell’ambito del piano di risanamento dell’Italia post-COVID, il governo ha approvato riforme che obbligherebbero gli stabilimenti balneari a richiedere nuovamente le licenze. Ciò è dovuto all’obiettivo di liberalizzazione del mercato della direttiva Bolkenstein dell’UE.
Finora l’Italia ha consentito il rinnovo automatico delle licenze degli stabilimenti balneari, una pratica che ha messo a dura prova i rapporti tra Roma e Bruxelles: questo ha agevolato chi già aveva la licenza e, al contempo, ha fatto sì che alcuni dei quasi 13mila lidi italiani siano oggi vecchi. All’interno delle aule del parlamento di Roma, le preoccupazioni della categoria dei gestori di lidi hanno trovato terreno fertile soprattutto a destra, la cui politica protezionistica è in linea con il desiderio di preservare gli interessi della classe imprenditoriale balneare italiana.
Le proteste degli ambientalisti
Un altro aspetto della controversia sulla spiaggia è rappresentato dalle organizzazioni ambientaliste, che sono critiche sia nei confronti delle riforme del governo imposte dall’UE che del controllo degli stabilimenti balneari. Ciò che queste associazioni chiedono, di base, è il libero accesso al mare per tutti.